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Se la persona colpita da frasi offensive all’interno di una chat condivisa con altri non era on line al momento della loro pubblicazione il reato commesso dall’autore dell’espressioni ingiuriose è quello della diffamazione e non dell’ingiuria aggravata.

Scatta il reato di trattamento illecito di dati personali per chi -anche solo in un breve lasso di tempo - posta su siti porno fotomontaggi realizzati a partire da foto di sue conoscenti, prelevate da Facebook. E non costituisce valida difesa sostenere che si tratti solo di "una bravata". La Cassazione con la sentenza n. 43534  ha così confermato la condanna a sei mesi per il reato lesivo della privacy di ben 17 ragazze, nonostante avessero tutte rimesso la querela per diffamazione a seguito di uno spontaneo risarcimento di 1.300 euro ciascuna da parte del ricorrente.

Reato spiare l’ex per provare che manipola il figlio minore, mentre la coppia si sta separando. E ciò benché l’uomo che nasconde la “cimice” sia il proprietario di casa: il discrimine fra interferenza illecita e lecita non sta nella natura del momento di privacy violato, ma nel fatto che chi registra sia parte o meno del video o dell’audio.

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A volte basta la deplorevole condotta di un singolo scellerato per macchiare l’onore e la reputazione degli oltre 100mila carabinieri che prestano fedelmente servizio nell’Arma dei Carabinieri. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, la Procura di Milano ha infatti chiesto il rinvio a giudizio di un carabiniere accusato di aver rubato e rivenduto dati delle forze dell’ordine.

Scatta il reato di “frode informatica” con l’aggravante del “furto di identità digitale” (punito da due a sei anni) per chi sottrae fondi dall’home banking di una terza persona, qualsiasi sia il mezzo utilizzato per l’accesso: pin, chiavetta ecc. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 13559/2024.

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L’azione di aver anche solo predisposto un meccanismo di disturbo atto a impedire le comunicazioni fra terzi fa scattare il reato previsto dall’articolo 617 bis del Codice penale (Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e di altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche).

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In tema di reati informatici, il delitto di cui all'articolo 617-quinquies del Codice penale è assorbito in quello più grave di frode informatica ex articolo 640-ter del Cp nel caso in cui, installato il dispositivo atto a intercettare comunicazioni di dati informatici, abbia luogo la captazione, in tal modo trasformandosi la condotta preparatoria e di pericolo di cui al primo reato nell'alterazione del funzionamento o, comunque, in un intervento illecito sul sistema informatico, che sono modalità realizzative tipiche della frode informatica.

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Con la sentenza 40295/2024, la Cassazione si è pronunciata chiarendo l’ambito di applicazione del reato di “accesso abusivo ad un sistema informatico” all’interno di un rapporto di lavoro, nella fattispecie in cui un respnsabile si era fatto dare da un’impiegata a lui gerarchicamente subordinata le credenziali di accesso al sistema informatico aziendale.

È illegittimo il decreto di ispezione informatica con il quale il pubblico ministero, prima di disporre la restituzione della “copia forense” dei dati acquisiti tramite il sequestro probatorio di telefoni cellulari, annullato dal tribunale del riesame, acquisisca nuovamente i medesimi dati. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 31180/2024 accogliendo il ricorso dell’imputato.

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Il Tribunale che sancisce la totale illegittimità del decreto di perquisizione e sequestro del PM, deve a sua volta disporre la restituzione delle copie forensi delle memorie contenenti i dati ivi registrati. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38460 depositata oggi, accogliendo il ricorso di una donna che aveva subito il sequestro di due telefoni cellulari nell'ambito di un procedimento contro ignoti per rivelazione del segreto d'ufficio.

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Il presidente di Federprivacy a Rai Parlamento

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