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L’attivazione di un sistema di videosorveglianza è giustificabile in relazione a una situazione di pericolo reale, comprovata da furti o atti vandalici verificatisi in passato: questi precedenti costituiscono un solido elemento a supporto della sussistenza del legittimo interesse ed è pertanto opportuno che vengano documentati.

Il processo di gestione, a cura dei Comuni, di un sistema di videosorveglianza per la sicurezza urbana, volto a prevenire e contrastare i fenomeni di criminalità diffusa e predatoria, deve necessariamente essere disegnato, auspicabilmente ancor prima dell’acquisto del sistema stesso, in modo tale da attuare efficacemente i principi della protezione dei dati e soddisfare i requisiti posti dalla normativa Eurounitaria (GDPR e LED). Questo disegno comprende anche l’esecuzione di una valutazione di impatto sulla protezione dei dati, la c.d. DPIA (Data Protection Impact Assessment).

Il consenso collettivo o individuale dei dipendenti non può legittimare a posteriori la presenza in azienda di strumenti di videosorveglianza se il datore di lavoro li ha installati in violazione delle prescrizioni dello Statuto dei lavoratori, cioè senza consultazione e accordo con le rappresentanze sindacali o senza l'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro provinciale. Passaggi che vanno compiuti prima di mettere in funzione i predetti strumenti. 

Il datore di lavoro può installare un sistema di videosorveglianza nelle sedi di lavoro? Occorre avere una autorizzazione del Garante per installare le telecamere? In che modo si fornisce l'informativa agli interessati? Quali sono i tempi dell'eventuale conservazione delle immagini registrate? Si possono utilizzare telecamere di sorveglianza casalinghe c.d. smart cam? Sono queste alcune delle domande cui rispondono le Faq messe a punto dal Garante per la protezione dei dati personali sulle questioni concernenti il trattamento dei dati personali nell'ambito dell'installazione di impianti di videosorveglianza da parte di soggetti pubblici e privati.

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Fuori gioco le diffuse telecamere dei privati che puntano sugli spazi pubblici e sulle aree dei vicini di casa. Via libera invece alle telecamere finte e agli impianti più complessi previo adeguato bilanciamento degli interessi e fatte salve le speciali esigenze di polizia. E arriva anche il nuovo cartello per la videosorveglianza Gdpr formato Ue. Lo evidenziano le linee guida sul trattamento dei dati personali n. 3/2019 divulgate dal Comitato europeo per la protezione dei dati il 29 gennaio 2020.

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Valutazione preventiva di impatto privacy obbligatoria per gli impianti di videosorveglianza su larga scala e più intelligenti. Mentre si naviga a vista sui tempi e sulla trasparenza dei dati raccolti da enti e forze locali. Solo i comuni e gli organi di polizia possono posizionare telecamere rivolte verso piazze, giardini e strade: ma resta il nodo dei sistemi pubblici a vocazione interforze, ossia i cui dati sono condivisibili da più soggetti (comune, polizia, carabinieri ecc.). Le risposte alle domande frequenti in materia di videosorveglianza diramate dal Garante chiariscono questi aspetti, ma non affrontano altri, più complessi. Come per esempio i tempi di conservazione necessariamente allungati per finalità di sicurezza pubblica e le diverse e più limitate regole per la trasparenza dei trattamenti.

Quando il comune investe sulla sicurezza dei cittadini introducendo innovazioni digitali deve valorizzare anche la protezione dei dati personali, effettuando le valutazioni sui rischi che possono essere correlate alla nuova tecnologia strettamente connessa con i sistemi di video controllo. E poco importa se il progetto è stato finanziato dal Viminale e approvato dalla prefettura.

Un film degli anni ’80 intitolato “Le vite degli altri” narrava la storia di una coppia che viveva nella DDR e che era spiata nella vita quotidiana dalla Stasi. Il film racconta una storia reale, come molte altre di quel periodo storico, nella quale lo spionaggio avveniva con l’uso delle tecniche più sofisticate dell’epoca, ma che oggi risultano superate rispetto alle opportunità che la scienza e la tecnica attuali ci offrono, grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale sempre più sofisticati.

Le città italiane sono sempre più digitali e invase dalle telecamere, ma per evitare di andare verso una società del controllo indiscriminato e non incorrere nelle pesanti sanzioni che sono previste dal GDPR è necessario cambiare urgentemente traiettoria rispetto agli scenari attuali.Infatti uno studio condotto da Federprivacy in collaborazione con Ethos Academy ha evidenziato che con il Regolamento europeo sono state finora già 161 le sanzioni direttamente riferibili a violazioni in materia di videosorveglianza, e solo l'8% delle telecamere sono segnalate da regolari cartelli di informativa minima.

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Chi installa sistemi di videosorveglianza decide il termine di conservazione delle immagini. E lo deve mettere nero su bianco sul cartello da esporre nelle zone riprese dalle telecamere. È l'effetto della deregulation introdotta dal Regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679 (noto con la sigla Gdpr). Il Garante ne prende atto e lo spiega nelle risposte alle domande più frequenti (Faq), diffuse sul suo sito internet. La materia, prima del Gdpr, era disciplinata da un provvedimento generale (l'ultimo è dell'8 aprile 2010) e, nei casi più spinosi, imponeva di ricorrere al Garante per una verifica preliminare (come sistemi integrati di videosorveglianza, sistemi «intelligenti», superamento termini di conservazione delle immagini fissati dal Garante, associazione immagini a dati biometrici, riconoscimento facciale, ecc.).

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TV9, il presidente di Federprivacy alla trasmissione 9X5

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