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L'UE avverte X: il profilo verificato con la 'spunta blu' a pagamento viola il Digital Services Act
La Commissione Europea ha lanciato un severo monito alla piattaforma X (già Twitter), dichiarando che il suo sistema di verifica con blue check (spunta blu) non rispetta le disposizioni del Digital Services Act (DSA) dell'Unione Europea. Secondo i risultati preliminari delle indagini, il sistema risulta ingannevole per gli utenti e in contrasto con le pratiche standard del settore.
La collega rifiuta le sue avances, lui si trasforma in stalker e hacker
Un tormento durato mesi, quello subito da una donna perseguitata da un collega di lavoro, che non accettando il rifiuto delle sue avances aveva continuato a covare risentimento ponendo in essere una vera e propria attività di spionaggio e persecuzione, con molestie, minacce e ingiurie tramite telefono, sms, e social network, arrivando perfino a violare il suo profilo Facebook. Con la sentenza della Quinta Sezione Penale della Cassazione 47049/2019, per l'uomo è stata confermata la condanna per il reato di stalking ai sensi dell'art. 612 bis del Codice Penale con una pena di due anni e sei mesi di reclusione.
La Commissione Europea dà tempo a WhatsApp fino a fine febbraio per fornire chiarimenti sulla privacy degli utenti
La Commissione europea e la rete delle autorità nazionali per i consumatori hanno inviato una lettera a WhatsApp per chiedere all'azienda di chiarire le modifiche apportate nel 2021 ai suoi termini di servizio e alla politica sulla privacy e garantire la loro conformità al diritto Ue sulla protezione dei consumatori.
La Commissione Europea vieta TikTok sui dispositivi mobili dei propri dipendenti
La Commissione europea ha chiesto ai dipendenti di disinstallare l'applicazione del social network cinese TikTok dai loro smartphone ed altri dispositivi di lavoro entro e non oltre il 15 marzo 2023. Lo ha affermato il portavoce della Commissione specificando che la sospensione mira a proteggere i dati dell'istituzione.
La privacy al tempo dei social network
Fino ad oggi sia il Garante italiano sia i Garanti europei, nell’ambito dell’European Data Protection Board (EDPB), hanno avuto un approccio estremamente protettivo nei confronti dell'utilizzo dei social network emanando diverse linee guida e diversi documenti (a partire dal Memorandum di Roma adottato il 3-4 marzo 2008, passando per il Parere 5/2009 sui social network on-line del 12 giugno 2009 e giungendo alle attuali Linee Guida n. 3 del 2022) che hanno avuto come scopo principale quello di sensibilizzare gli utenti su l’uso consapevole dei social network ma soprattutto quello di distogliere dall’uso gli utenti troppo giovani.
Lavoro: necessarie policy chiare per evitare l’effetto boomerang dei post sui social
L’utilizzo dei social media diventa ogni giorno di più un argomento critico sul posto di lavoro: la crescente sensibilità delle aziende verso le comunicazioni dei propri dipendenti, unita all’uso sempre più massiccio che questi fanno delle comunicazioni “social”, aumenta in maniera esponenziale il rischio di conflitti su questo tema. Conflitti che sono acuiti da un problema: il confine tra le condotte lecite e quelle illecite non è sempre facile da definire.
Le app per combattere la dipendenza da sostanze stupefacenti accedono ai dati personali degli utenti e li condividono con Google e Facebook
App utilizzate da migliaia di persone in cerca di supporto per guarire dalla dipendenza da oppiacei accedono a informazioni personali sensibili e possono inviarle a Google e Facebook, che a loro volta sono in grado di identificare gli utenti. A renderlo noto è il Financial Times menzionando una ricerca pubblicata nei giorni scorsi da ExpressVPN Digital Security Lab, che ha esaminato il codice sorgente di 10 di queste applicazioni Android scoprendo che molte di esse stavano accedendo a dati privati come il numero di telefono, l’operatore telefonico e l’indirizzo IP dell’utente.
Lecito criticare l'atleta professionista su Facebook, ma solo con toni appropriati e misurati
Ai fini del riconoscimento dell'esimente prevista dalla disciplina penalistica in riferimento al legittimo esercizio del diritto di critica di comportamenti (asseriti come) professionalmente e umanamente "sleali" di un atleta professionista, qualora le frasi diffamatorie siano diffuse a mezzo social network, il giudice, nell'apprezzare il requisito della continenza, deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato ma anche della "eccentricità" delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al "ludibrio" della sua immagine, sia esposta al "pubblico disprezzo".
Legittimo il licenziamento del dipendente che offende più volte i capi su Facebook
È legittimo il licenziamento del dipendente che ha pubblicato plurimi insulti ai suoi capi sulla propria pagina Facebook. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 27939/2021, respingendo il ricorso di un account manager di Tim. Confermata dunque la decisione della Corte di appello di Roma che nel novembre 2018, aveva respinto il ricorso contro il licenziamento "per giusta causa" di un addetto alla "Gestione della comunicazione pubblicitaria nazionale ad uso locale" (insegne della grande distribuzione, eventi, promozione locale dei negozi).
Licenziamento nullo per il dipendente che insulta il capo su una chat privata tra colleghi
L’utilizzo di una chat su whatsapp tra colleghi di lavoro per veicolare messaggi vocali di contenuto offensivo, minatorio e razzista nei confronti di un superiore gerarchico e di altri dipendenti non ha contenuto diffamatorio, non costituisce violazione dell’obbligo di fedeltà e non ha, in definitiva, portata rilevante sul piano disciplinare.