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Valore economico dei file al test delle regole privacy

La sentenza 11959/2020 della Cassazione riconosce la natura di “cosa mobile” a un file e amplia le fattispecie astrattamente contestabili per condotte di “sottrazione” elettronica. Nello stesso tempo, però, crea un contrasto con la posizione, più volte espressa dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali, sulla natura non patrimoniale dei dati in questione.

Questo orientamento della Cassazione rende possibile contestare all’imputato anche la violazione dei reati contro il patrimonio in tutte quelle condotte che attingono oggetti informatici. Dunque, un capo di imputazione potrebbe estendersi ben oltre l’appropriazione indebita (caso di cui si occupa la sentenza), fino a raggiungere anche il furto, il riciclaggio, la ricettazione, la rapina e – da non sottovalutare – l’aggravante per danno patrimoniale di rilevante gravità (articolo 61, comma 1, numero 7 del Codice penale).

Questa possibilità è estremamente utile negli innumerevoli casi di violazioni della proprietà intellettuale che la legge sul diritto d’autore sanziona blandamente ma che – come nella vicenda dei gruppi Telegram che fanno circolare copie illecite di periodici e quotidiani – provocano danni molto ingenti .

La sentenza è giustamente orientata a evolvere la lettura della nozione penalistica di “cosa mobile” che risale a un periodo che non si poneva il problema naturalistico della separazione fra supporto e contenuto .

Anche se spazi interpretativi per sostenere la tesi c’erano già nell’ultimo comma dell’articolo 392 del Codice penale, il percorso argomentativo è alquanto arduo e, a volte, non convince fino in fondo.

È il caso, per esempio, della parte della sentenza in cui il giudicante “forza” argomenti di teoria dell’interpretazione per giustificare l’utilizzo di nozioni extrapenali per non incorrere in violazione del principio di legalità. Suscita anche qualche dubbio il ruolo attribuito alla cancellazione dei file come elemento naturalistico che integra la perdita di disponibilità degli stessi.

La sentenza, infatti, non spiega come – e soprattutto perché – in situazioni del genere dovrebbe escludersi la possibilità di contestare piuttosto i reati di accesso abusivo a sistema informatico o telematico e danneggiamento informatico. Quest’ultimo passaggio introduce il tema del ruolo del valore economico dei dati oggetto della condotta illecita ai fini della qualificabilità come cosa mobile. In altri termini: rientrerebbero nella nozione di res tutti i dati o solo quelli suscettibili di valorizzazione economica?

Se l’opzione fosse (come parrebbe ragionevole) la seconda, allora si dovrebbe risolvere un altra questione: la possibilità di considerare i dati personali definiti tali dal Regolamento Ue 679/2016 come cosa mobile suscettibile di avere un valore economico. Se la risposta fosse positiva, da un lato ci sarebbe una ulteriore possibilità di sanzionare condotte fraudolente di acquisizioni di dati personali da parte di piattaforme e fornitori di servizi di comunicazione elettronica. Dall’altro, però, si cristallizzerebbe una nozione di dato personale come “cosa commerciabile” che il Garante privacy ha, con più di qualche ragione, ritenuto non accettabile.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 13 maggio 2020

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