L’84% dei medici invia ricette e valuta esami clinici tramite WhatsApp, ma la metà di essi non si aggiorna su come tutelare la privacy dei pazienti
WhatsApp è lo strumento di comunicazione che va ormai per la maggiore tra i professionisti del settore sanitario, utilizzato dall'84,3% dei medici, mentre solo il 14,5% di essi usa Telegram o Messenger. I tradizionali sms vengono invece usati dal 50,9% dei dottori.
È quanto emerge da un sondaggio condotto dall'Ordine dei Medici chirurghi e odontoiatri di Firenze in collaborazione con il laboratorio universitario DataLifeLab dell’Università degli studi di Firenze e dagli esperti della cooperativa Retesviluppo.
Il 7,8% dei medici ha scoperto le app proprio durante l'emergenza sanitaria da Covid-19. La pandemia ha infatti incrementato l'uso di app di messaggistica con i pazienti per quasi un medico su due (il 47,6%). Tramite WhatsApp vengono inviate prescrizioni, valutati esami e dati consigli terapeutici. Oggi 8 dottori su 10 hanno un contatto con gli assistiti tramite smartphone, ma d’altra parte molti professionisti si rendono conto che tutto ciò ha comportato un'invasione della sfera privata sia per i pazienti che per gli stessi medici, come spiega Pietro Dattolo, presidente dell'Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Firenze:
"La messaggistica tramite cellulare permette di dare in tanti casi risposte rapide e tempestive ai pazienti, sciogliendo dubbi e timori, andando incontro alle esigenze più varie. È importante tuttavia non perdere di vista il confronto umano, di persona, che resta il centro di questa professione. Occorre anche porre attenzione al tema della privacy e restare aggiornati sulle nuove opportunità di comunicazione che si presenteranno nei prossimi anni per essere sempre al fianco della popolazione e nei loro bisogni di cura".
A tal proposito, è opportuno ricordare che nel periodo del lockdown, con il parere n.58 del 19/3/2020 il Garante della Privacy aveva dato l'ok al decreto del Mef per l’invio dematerializzato delle ricette, evidenziando “che non sussistono impedimenti legati alla protezione dei dati personali nell’individuazione con tali modalità alternative alla consegna del promemoria cartaceo della ricetta elettronica, evidenziando la possibilità di prevedere canali digitali, alternativi alla stampa cartacea, rispettosi della disciplina in materia di trattamento dei dati sulla salute”, ma era sottinteso che con il passaggio al digitale si rendeva necessario mettere in atto tutte le misure tecniche organizzative per garantire il rispetto del GDPR.
Inoltre, nel suddetto parere, l’Authority aveva espressamente dato il proprio nulla osta ad utilizzare come canali dematerializzati il portale del Sistema di accoglienza centrale (Sac), il Fascicolo sanitario elettronico, la posta elettronica (email), gli short message service (Sms), ma non aveva menzionato WhatsApp e le altre app di messaggistica, strumenti tecnologici che, per quanto di uso pratico e rapido, comportano però maggiori criticità in materia di protezione dei dati personali che richiedono ulteriori valutazioni prima di essere adottate estesamente come prassi generalizzata dai professionisti del settore sanitario.
D’altra parte, dal sondaggio risulta invece che WhatsApp viene sfruttato in modo disinvolto per comunicare con i pazienti dal 53,9% dei medici, per fissare appuntamenti dal 39,8%, per inviare prescrizioni dal 20,7%, per valutare esami e dare consigli terapeutici a pazienti dal 42% e per scambiare informazioni cliniche dei pazienti con i colleghi dal 56,1%.
Il 79,2% dei medici ha detto infatti di comunicare con i pazienti attraverso i cellulari, e il 22,6% ha affermato di possedere più di uno smartphone. Il 31,8% utilizza un cellulare esclusivamente dedicato al lavoro.
Secondo l'indagine ormai appena lo 0,6% dei medici comunica con i pazienti solo verbalmente. Mentre l'email è adoperata solo dal 6,6% degli intervistati.
Il sondaggio evidenzia inoltre anche delle lacune sulle conoscenze in tema di privacy, in quanto quasi la metà dei medici (47,7%), negli ultimi 3 anni non ha mai partecipato ad un corso di formazione in materia di trattamento/consenso dei dati personali, e questo rende purtroppo ancora più preoccupante il ricorso massivo a strumenti di comunicazione tecnologici che necessiterebbero di regolare formazione ed aggiornamento proprio per essere in grado tutelare la privacy dei pazienti.