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WhatsApp, messaggi vocali e emoticons accettati come prova nei processi civili e penali, ma attenzione alla privacy

Sempre più spesso le comunicazioni scambiate attraverso WhatsApp vengono accettate dai giudici come prove decisive nei processi, sia civili che penali. Non solo i messaggi di testo delle chat, ma anche quelli vocali e perfino le emoticon possono infatti avere valore giuridico. Un semplice pollice in su può rappresentare l’accettazione di spese straordinarie per i figli o persino di un contratto.

In alcuni casi, i cuoricini inviati a un amante sono stati considerati motivo sufficiente per l’addebito della separazione.

I giudici hanno il potere di acquisire le chat e utilizzarle per emettere sentenze. Tuttavia, nell’uso sempre più frequente di social e app di messaggistica come fonte di prova emerge una problematica rilevante: la tutela della privacy.

Un’ordinanza della Cassazione, depositata il 20 febbraio scorso (n. 4530/2025), ha infatti stabilito che non è possibile addebitare una separazione basandosi su screenshot di conversazioni WhatsApp ottenuti in modo illecito, ad esempio rubando i dati dal telefono del coniuge. Se invece entrambi i partner avevano accesso reciproco ai dispositivi, le prove restano valide.

Questo porta a una distinzione importante: se gli screenshot costituiscono una prova certa, la loro utilizzabilità dipende dal modo in cui sono stati acquisiti. In ambito penale, dove non è richiesta una prova legale in senso stretto, i dati possono essere utilizzati più liberamente dal magistrato.Nel processo civile, invece, è necessario rispettare criteri più rigorosi: le prove devono essere raccolte in modo lecito affinché il giudice possa attribuirgli valore.

Un precedente significativo è quello della sentenza n. 1092/2022 del Tribunale di Foggia che aveva stabilito che l’invio di emoticon, come cuoricini a un amante, può giustificare l’addebito della separazione. Inoltre, gli screenshot, uniti alle testimonianze, possono aiutare a stabilire la data di inizio di una relazione extraconiugale avvenuta durante il matrimonio, prima che emergano tensioni tra i coniugi.

Sempre in ambito familiare, il Tribunale di Napoli (sentenza n. 522 dell’8 febbraio 2025) ha stabilito che un semplice “ok” in una chat WhatsApp è sufficiente per confermare l’accordo su spese straordinarie per i figli e garantire il diritto al rimborso al genitore collocatario.

Nel diritto civile, un messaggio può anche provare l’accettazione di un piano di rientro del debito da parte del creditore. Secondo la sesta sezione civile del Tribunale di Milano (sentenza n. 823/2025), una mail o un messaggio WhatsApp, anche vocale, sono prove valide di un accordo tra le parti, senza necessità di PEC o firma digitale.

Infine, il messaggio vocale può bastare a fare revocare un decreto ingiuntivo. Infatti, se il contenuto della chat può essere utilizzato nella causa civile come prova legale ex articolo 2712 del Codice Civile, altrettanto vale per l’audio inviato tramite l’app di messaggistica in cui si evince in modo inequivocabile la volontà della parte di recedere unilateralmente dal vincolo contrattuale. E che dunque nulla più è dovuto dalla controparte: pesa il mancato disconoscimento da parte dell’interessato. È quanto emerge da una sentenza pubblicata il 29 dicembre 2024 dalla seconda sezione civile del Tribunale di Torre Annunziata, nella città metropolitana di Napoli. Ultimo ma non in ordine di importanza il versante del processo penale dove WhatsApp inchioda l’imputato anche senza sequestro del telefono: sono considerati sufficienti gli screenshot.

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