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Non viola la privacy il medico che registra di nascosto la conversazione con i colleghi per esercitare il suo diritto di difesa

Seguendo un orientamento ormai consolidato, la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con l’ordinanza 5844 del 5 marzo 2025, ha ribadito che le registrazioni tra presenti, effettuate per essere poi utilizzate in giudizio a tutela di un proprio diritto, non violano il GDPR e sono quindi legittime ed utilizzabili.

Nel caso di specie una donna medico ha registrato, in orario e ambiente di lavoro, un colloquio con un suo collega in quanto utile in altra sede per dimostrare la correttezza del suo operato e l’abuso d’ufficio commesso in suo danno dal direttore dell’Unità Operativa Complessa di cardiologia.

La Commissione Medica di Disciplina dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, l’ha punita con la sanzione della censura per aver posto in essere un comportamento scorretto, in violazione del dovere di rispetto reciproco e fiducia nei confronti del collega “registrato”.

L’interessata ha contestato il provvedimento, senza successo, dinanzi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, sostenendo che la registrazione fra colleghi, a cui partecipi chi registra, finalizzata ad acquisire prove da utilizzare in sede giudiziaria, non è lesiva del diritto alla riservatezza, seppur realizzata senza il consenso dell’interessato.

La donna è quindi ricorsa per Cassazione. I giudici della Suprema Corte hanno tenuto innanzitutto a precisare che “il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso” (cfr. Cass. 29 dicembre 2014 n. 27424).

Hanno poi rilevato come il comportamento censurato e ritenuto deontologicamente scorretto fosse la violazione del diritto alla riservatezza, la cui inosservanza si sarebbe tradotta nella trasgressione delle norme di correttezza tra colleghi.

Ebbene, il GDPR scrimina chiaramente la violazione del diritto di difesa in tutti quei casi in cui è necessaria per tutelare o difendere un proprio diritto in sede giudiziaria. La Commissione centrale, nell’esaminare le ragioni scriminanti addotte dall’interessata, non si è conformata a un principio di diritto consacrato dal codice privacy prima e dal GDPR poi.

Ragioni per cui gli Ermellini – proprio perché “Non è illecita la violazione del diritto alla riservatezza, tra cui la registrazione d’una conversazione tra presenti in mancanza dell’altrui consenso, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio del diritto di difesa” – hanno accolto la tesi della ricorrente ed annullato il provvedimento, restituendo gli atti alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie e condannando il Consiglio dell’Ordine al pagamento delle spese processuali in favore della dottoressa.

(Download sentenza riservato agli associati)

Note sull'Autore

Andrea Pedicone Andrea Pedicone

Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali, Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017 Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni, socio membro Federprivacy.

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