Intelligenza artificiale, il problema dell’Europa non sono le regole
L’America innova, la Cina copia, l’Europa regolamenta. Uno slogan vecchio e, talvolta, abusato, che ciclicamente viene rispolverato quando si parla di regolamentazione dei mercati. Ora che le attenzioni di tutto il mondo sono concentrate sulla corsa all’oro nel mercato dell’intelligenza artificiale, le scelte di politica economica e legislativa dell’Unione europea sono di nuovo sotto la lente di ingrandimento. Si tratta di un bersaglio facile, ma soprattutto sbagliato.
Dopo il summit di Parigi - Si è appena concluso il summit di Parigi sull’intelligenza artificiale. Un’occasione importante per provare a prevedere le prossime mosse nello scacchiere geopolitico sull’asse IA. Tra annunci di ingenti investimenti e mancate firme, da più voci si è alzata una critica più o meno severa alla scelta dell’Ue di dotarsi dell’Artificial Intelligence Act (AI Act), le cui prime disposizioni sono diventate applicabili a partire dal 2 febbraio scorso.
Le critiche alla Ue non sono nuove - Da quando, nell’aprile 2021, la prima bozza della nuova legge europea sull’IA ha visto la luce non sono mancate posizioni contrarie alla sua adozione. Ciò anche e soprattutto in vista del confronto con le strategie delle altre grandi potenze globali, America e Cina in particolare, più propense alla via della soft regulation verticale, in un contesto di laissez faire generale volto alla promozione dell’AI ad ogni livello.
Identico scenario si è profilato una decina di anni fa, quando a venire approvato – e criticato – era il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Gdpr).
Una legge che per alcuni sarebbe finita per essere responsabile di una involuzione dei mercati, mentre è obiettivamente diventata un modello normativo internazionale, un enorme volano di profitti e competitività grazie all’abilitazione per legge della libera circolazione dei dati, avviando una profonda revisione della governance delle aziende incentrata sull’asse dominante dei dati e della loro governance.
Sviluppo umanocentrico dell’AI - Non sappiamo se la storia si ripeterà con l’AI Act. La normativa non è perfetta, ma non c’è dubbio fosse necessaria per guidare uno sviluppo dell’IA umanocentrico e conforme ai diritti fondamentali. Il clima internazionale mutato e le spinte protezionistiche vanno contro la libera circolazione dei dati, delle persone e delle merci, che di fatto sono i tre capisaldi delle regole di Schengen e Maastricht, ossia le basi dell’Unione Europea contemporanea.
(Nella foto: l'Avv. Rocco Panetta, IAPP Country Leader per l'Italia)
La prospettiva da analizzare è allora un’altra. Se l’Unione Europea sul mercato non riesce a stare al passo di America e Cina, il motivo non può certo essere la presenza di una o più leggi, ma piuttosto il contesto in cui la stessa è chiamata a operare. Un contesto frammentato, spesso disomogeneo, asimmetrico e a velocità variabili su piani cruciali come gli investimenti, la tassazione e l’enforcement.
Quale futuro per l’Europa?- Chi ha dunque paura delle regole? È vero, la Ue ha prodotto negli ultimi anni, a partire dal trattato di Lisbona che ingloba la Carta dei diritti di Nizza, molte norme che tendono a porre i valori ed i principi fondamentali al centro dell’azione dei diversi stakeholder. Ma le leggi dell’Ue sono unanimemente considerate un modello da imitare.
Ma ciò non basta più. La Ue deve moltiplicare le politiche attive sugli investimenti e raccordare la fiscalità, altrimenti è evidente che in assenza di politiche omogenee una legge inedita e innovativa in un settore in forte crescita può rappresentare un perfetto capro espiatorio. Un bersaglio facile e, per l’appunto, sbagliato. Occorre che l’Unione europea, i suoi sostenitori e anche i suoi critici, abbiamo tutti il coraggio di affrontare in modo fermo e risoluto i problemi strutturali che ancora impediscono all’Europa di esprimere tutto il proprio incredibile potenziale.
di Rocco Panetta (Il Sole 24 Ore)