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Sostituzione di persona sul social network, configurabile il reato anche se si persegue uno scopo di per sé lecito

Sotto la lente del Tribunale di Trieste tutti gli elementi tipici del reato di sostituzione di persona attraverso l'uso di dati anagrafici e fotografie di altro soggetto. Con sentenza del 24 maggio 2021 n. 681, il Tribunale ha condannato un uomo alla pena di tre mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali, senza concessione delle attenuanti generiche, per aver commesso il reato di sostituzione di persona, previsto dall'articolo 494 del Cp. Nel caso di specie, l'imputato aveva utilizzato i dati e le immagini del figlio per creare un proprio account su un noto social network e tramite il falso profilo aveva indotto in errore una ragazza disabile, convincendola a intraprendere con lui una relazione virtuale, a inviargli fotografie e a compiere atti sessuali.

Reato di sostituzione di persona, configurabile anche se il soggetto persegue uno scopo di per sé lecito

Com'è noto, salva l'ipotesi in cui il fatto integri altro delitto contro la fede pubblica, la norma incriminatrice punisce con la reclusione fino a un anno, "chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici".

Collocato nel Titolo VII del Libro II, dedicato ai delitti contro la fede pubblica, l'articolo 494 del Cp appartiene, più in particolare, al Capo IV rubricato "Della falsità personale". Si tratta, a ben vedere, di un reato sussidiario comune, che descrive due condotte alternative ed è connotato dal dolo specifico.

La norma ha carattere plurioffensivo e si propone di evitare l'utilizzo improprio di dati e qualità, che possano alterare l'identità della persona, ledendo sia la fede pubblica, sia interessi di natura privata di coloro che entrano in contatto con il reo.

La sentenza del 24 maggio 2021 n. 681 del Tribunale di Trieste quindi mette in luce tutti gli elementi tipici del reato ex articolo 494 del Codice Penale, cominciando dalla condotta posta in essere dal soggetto tratto in giudizio, il quale ha sostituito la propria identità con quella del figlio, utilizzando i suoi dati anagrafici e le sue fotografie. Conclamato è anche l'elemento soggettivo del dolo specifico, in quanto l'imputato ha indotto in errore una giovane donna , convincendola a iniziare una relazione sessuale "a distanza".

I temi principali da analizzare - Due sono gli aspetti che meritano di essere approfonditi. In primo luogo, il giudicante ha mostrato di aderire all'ormai tradizionale orientamento secondo cui i concetti di vantaggio e di danno perseguiti dal reo non devono avere necessariamente natura patrimoniale, né essere connotati dal requisito dell'ingiustizia. In altri termini, il delitto de quo è configurabile anche qualora il soggetto attivo persegua uno scopo di per sé lecito. Soltanto la mancanza di un qualsiasi vantaggio e/o danno, rende il comportamento penalmente irrilevante, riconducibile allo scherzo o al più al cosiddetto "falso innocuo". Alla luce di queste considerazioni, i vantaggi sessuali derivanti dalla relazione intrapresa sotto mentite spoglie rientrano senza alcun dubbio nella nozione appena riportata.

Quanto all'aspetto dannoso, dall'istruttoria è emerso come il falso rapporto amoroso avesse cagionato nella ragazza serie ripercussioni psicologiche, spingendola a minacciare il suicidio.Il secondo aspetto attiene al particolare mezzo utilizzato dall'imputato per realizzare la sostituzione di persona, ossia i social network. Se da un lato, il mondo virtuale ha sicuramente eliminato numerose barriere, facilitando lo scambio di comunicazioni e di contenuti in tempo reale, dall'altro esso cela numerose insidie, difficili da prevedere e da evitare.

Truffe "rosa" - I fatti descritti nella sentenza 681/2021 inducono a riflettere anche sul fenomeno delle cosiddette "truffe rosa", in crescita non soltanto in Italia, ma in tutte le parti del mondo: persone sole – sia donne che uomini – , desiderose di fare nuove conoscenze e magari di intraprendere una relazione affettiva, vengono contattate da utenti sconosciuti, che dietro fotografie di giovani affascinanti perseguono ben altre finalità, per lo più di natura economica, ma (come si è appena visto) non solo.

In conclusione, è condivisibile la soluzione di condanna proposta dal Tribunale di Trieste, il quale oltre a negare la concessione delle attenuanti generiche ex articolo 62 bis del Codice Penale, trattandosi di una facoltà del giudice e non di un diritto dell'imputato, ha ritenuto pienamente integrato il delitto ex articolo 494 del Codice penale, anche se commesso a mezzo internet. In particolare, il giudice triestino ha richiamato l'importante sentenza della Corte di Cassazione del 2014 n. 25774 la quale, dopo aver affermato la possibilità di commettere il reato anche a mezzo internet, ha nello specifico aggiunto che deve ritenersi punibile " anche la condotta di chi, utilizzando i dati ed il nome altrui, crei un falso profilo sui social network, usufruendo dei servizi offerti, procurandosi i vantaggi derivanti dall'attribuzione di una diversa identità, anche semplicemente l'intrattenimento di rapporti con altre persone ed il soddisfacimento della propria vanità e ledendo l'immagine della persona offesa".

Fonte: Il Sole 24 Ore del 16 dicembre 2021 - di Camilla Insardà

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