WhatsApp per condividere dati aziendali riservati, attenti al rovescio della medaglia
La comodità è figlia della pigrizia. Quest’ultima ha una discendenza pericolosa, tra cui spiccano le nipotine della messaggistica istantanea la più vivace delle quali è certo WhatsApp.
Quest’ultima soluzione prende facilmente per mano chi lavora da remoto o semplicemente si trova fuori ufficio: è suadente e abbordabile anche per chi non ha competenze tecnologiche, è traditrice perché non offre nessuna garanzia di riservatezza.
La sua facilità di impiego la rende immediatamente familiare, ma chi la utilizza non ne valuta l’affidabilità e spesso ne fa un uso che non di rado espone a rischi e compromissioni la riservatezza del “business”.
(Nella foto: il Generale Umberto Rapetto)
WhatsApp ha così rapidamente conquistato una leadership incrinata solo dalla famelicità di dati di Mark Zuckerberg e dei suoi accoliti che con la pianificazione di nuove voraci regole di utilizzo hanno messo in fuga una larga fetta dell’utenza, ma nonostante le orribili premesse continua a costituire uno degli strumenti cui la gente fa abitualmente ricorso.
WhatsApp diventa il Mercurio dell’Olimpo dello smart working, il fedele servitore di chi vuole sbrigarsi e non perdere tempo: gli si affidano comunicazioni delicate, gli si dà il compito di veicolare documenti di estrema criticità, gli si delega il recapito di foto e audio con i dettagli di attività che dovrebbero restare segrete, gli si consegnano inconsapevolmente le chiavi dell’ufficio e in particolare quelle dei cassetti più riservati.
Il 38% dei professionisti ogni tanto fotografa documenti di lavoro per spedirli tramite WhatsApp, e il 41% ammette di inviare informazioni di lavoro confidenziali
Lo smartphone ha rapidamente conquistato il ruolo di propaggine dell’ufficio e – senza nemmeno rendersene conto – ne ha assunto la corrispondente morfologia: le cartelle sono equivalenti ai cassetti della scrivania, ma non sempre esistono serratura e chiave per proteggerne il contenuto. Questa prima mutazione non è stata coscientemente rilevata dagli interessati, che non si sono nemmeno accorti del “peso specifico” di quel che spediscono o ricevono immaterialmente attraverso quel dispositivo.
Basterebbe chiedere a chi se ne serve se ha mai considerato il rovescio della medaglia. La risposta oscillerebbe tra un infastidito “ma figurati” ed un compiaciuto “così faccio prima e non spendo nulla”. Ad increduli, frettolosi e parsimoniosi toccherà in sorte l’opportunità per ricredersi. Si maledirà nonna Pigrizia e pure sua sorella Furbizia, ma sarà troppo tardi.
(Vedasi anche l'intervista di Radio Capital a Umberto Rapetto sul tema dell'uso di WhatsApp per comunicazioni di lavoro)