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Governance dei dati sostenibile e strategie di marketing

Quando si parla di sostenibilità, probabilmente la prima cosa che viene in mente è l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite. E forse si pensa alle sfide che l’Umanità deve fronteggiare nel nostro tempo riguardo all’esaurimento delle risorse naturali e gli impatti negativi del cambiamento climatico, il degrado ambientale, la desertificazione, le siccità, e la perdita della biodiversità: sfide che si ritiene possano essere affrontate in modo efficace solo grazie a uno sviluppo sostenibile.

Anche se nei 17 principali obiettivi definiti nella risoluzione dell’ONU non è espressamente menzionata né la privacy né la governance dei dati, in realtà il punto 19 dell’Agenda 2030 afferma che “tutti gli stati hanno le responsabilità, di rispettare, proteggere e promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti, senza nessuna distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o di altra natura, nazionalità, classe sociale, proprietà, nascita, disabilità o alcuno status di altro tipo”.

E come è noto, il diritto alla privacy è diventato un pilastro anche dei nostri ordinamenti come una libertà dell’individuo, inserito nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, dove l’art.8 statuisce che “ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano”.

Di fatto, se quindi l’Agenda 2030 promuove i diritti umani e le libertà fondamentali, possiamo concludere che, seppur implicitamente, essa promuove anche il diritto alla privacy, rientrando a pieno titolo nel perseguimento dello sviluppo sostenibile.

Nelle scienze ambientali ed economiche, con il termine sostenibilità si intende la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.

Giusto per fare un esempio per comprendere cosa comporti una governance dei dati personali non sostenibile, si pensi alla tecnica del “fracking”, cioè il metodo della fratturazione idraulica con cui viene iniettato nel sottosuolo un getto ad alta pressione di acqua mista a sabbia ed altri prodotti chimici per provocare artificialmente l’emersione in superficie del petrolio, in cui spesso viene usata la trivellazione orizzontale, mentre in altri casi viene usata addirittura la dinamite per rompere le rocce e far emergere gli idrocarburi.

Se è pur vero che chi usa una tecnica del genere sui propri terreni ottiene inizialmente una certa ricchezza in modo rapido, d’altra parte gli effetti negativi che ne seguono sono devastanti e includono l’avvelenamento delle falde acquifere, la contaminazione dell’aria, e perfino l’induzione di terremoti, come hanno confermato gli studi scientifici.

Per come viene praticata oggi, possiamo quindi osservare che la tecnica del fracking è ben lontana dal perseguire uno sviluppo sostenibile.

Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy

(Nella foto: Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy)

Applicando questi concetti alla governance dei dati personali, possiamo affermare che, in particolare nell’ambito del marketing, una strategia risulta sostenibile quando i vantaggi che se ne traggono sono superiori rispetto agli impatti negativi che ne conseguono.

Quali potrebbero essere degli indicatori che possono evidenziare se una strategia di marketing sia sostenibile o meno? Esaminiamone di seguito 5 che possono rivelarsi utili per chi ha la responsabilità di guidare il timone dell’azienda:

1. Il rapido esaurimento dei giacimenti da cui si estrae la ricchezza è sicuramente un primo caratteristico segnale negativo, e spesso nelle campagne di marketing molte aziende tendono infatti a spremere le banche dati pur di ottenere i massimi risultati, ma esse si impoveriscono velocemente fino a diventare esauste generando quindi la necessità di andare a cercare continuamente nuove liste destinate tutte a vedere calare velocemente la loro redditività. D’altra parte, chi valorizza in modo sostenibile le banche dati di cui dispone le aggiorna regolarmente, e le gestisce in modo ponderato per non portarle ad esaurimento, mettendo in atto tutte quelle politiche virtuose finalizzate a consolidare e fidelizzare la clientela.

2. Anche il calo tangibile della fiducia rivela gli effetti di una strategia di marketing non sostenibile, con utenti che non rispondono più al telefono, e che non credono più alle offerte del brand pubblicizzato. Per contro, quando i call center delle aziende che mirano ad accrescere la fiducia degli utenti chiamano gli abbonati non ricorrono ad espedienti meschini nascondendo la loro utenza con un “numero sconosciuto” e neanche camuffandola con una fittizia numerazione cellulare. Ma se la telefonata dell’operatore risulta credibile e interessante, gli utenti non identificheranno il mittente come “spam”, ma anzi nel caso in cui il numero sia univoco saranno istintivamente portati a memorizzarlo nella loro rubrica perché hanno imparato che si possono fidare. Pertanto, le aziende che puntano sulla fiducia degli utenti redigono informative sulla privacy trasparenti, pubblicano codici etici, investono in responsabilità sociale d’impresa (business corporate social responsibility), e aderiscono a codici di condotta che rendono noto il loro impegno vincolante nei confronti dei consumatori.

3. Poi c’è il danno reputazionale che progressivamente si sostituisce ai profitti iniziali a rivelare la non sostenibilità di una strategia di marketing che induce gli utenti ad associare quel brand con scarsa serietà e a cercare soluzioni alternative. E’ vero che un dark pattern può indurre un utente ad accettare un’opzione vantaggiosa solo per chi gliela propone, ma egli impara velocemente la lezione e cascherà sempre meno nel trabocchetto, mentre la web reputation delle aziende che ingannano i consumatori con questi stratagemmi cala velocemente a causa di recensioni negative che diventano spesso virali sul web. Viceversa, le imprese che mettono in atto politiche concretamente finalizzate ad aumentare la propria credibilità e la fiducia degli utenti, rafforzano inevitabilmente il proprio brand e il tam-tam sui social è caratterizzato da feedback positivi.

4. L’aumento della gestione dei reclami inerenti il trattamento dei dati personali dell’utente, che non riesce a esercitare i propri diritti sulla privacy, e il conseguente aumento esponenziale di probabilità che faccia segnalazioni al Garante o sporga reclami sono altri segnali che rivelano oggettivamente una governance dei dati che va nella direzione della non sostenibilità a medio/lungo termine. D’altra parte, una strategia di marketing sostenibile sarà contrassegnata da un numero sempre più limitato di reclami, che spesso nell’arco di un mese si contano sulla punta delle dita, perché nella maggioranza dei casi l’utente i cui dati sono trattati in modo trasparente avrà poco o niente da contestare, e nel caso avesse effettivamente bisogno di esercitare i propri diritti ha la serenità di sapere a chi rivolgersi: c’è un Data Protection Officer ed i suoi rispettivi recapiti sono pubblicati sul sito web dell’azienda, e soprattutto il consumatore sa che se gli scriverà c’è realmente qualcuno dall’altra parte che risponderà entro i tempi fissati dalla normativa, senza essere lasciato in balìa di complicate procedure.

5. La perdita di dissuasività delle sanzioni dell’autorità, che a norma dell’art.83 del GDPR avrebbero la funzione di essere “effettive, proporzionate e dissuasive”, è un ultimo segnale che richiama l’attenzione su un potenziale innesco di una spirale non sostenibile. Molte aziende che sono allettate dai profitti immediati, mirano solo a spremere le banche dati senza farsi scrupoli e rimandano il pensiero del rischio delle sanzioni a se e quando il Garante dovesse bussare alla loro porta a causa della ricezione di segnalazioni e reclami, evitando di fare preventivamente i conti che un’eventuale sanzione del 4% del proprio fatturato rappresenterebbe realisticamente una batosta difficile da digerire. Ancor più pericoloso è il ragionamento dell’azienda che consapevolmente viola la normativa sulla protezione dei dati personali, ritenendo che finché il profitto è maggiore della sanzione converrà continuare così pur di fare business, e non avendo più di tanto timore dell’autorità che potrebbe bussare alla loro porta, proprio come quei soggetti che usano la dinamite pur di continuare ad estrarre il petrolio senza preoccuparsi dei danni che stanno provocando agli altri e a se stessi.

L’azienda che invece attua strategie di marketing sostenibili corre un basso rischio di sanzioni dell’autorità, perché nella logica dell’economia circolare della governance dei dati c’è un approccio sostenibile in cui si rispettano le regole e non si corre il rischio di sanzioni milionarie o miliardarie che potrebbero affossare il business, perché c’è una marcata attenzione alla compliance al GDPR, la privacy diventa un valore aggiunto che rassicura i consumatori, e si innesca un circolo virtuoso in cui i conti tornano senza necessità di ricorrere a pratiche scorrette e illegali.

Ormai da due decenni il marketing è stato caratterizzato da approcci basati esclusivamente sulla logica del profitto immediato inseguendo fatturati miliardari, ma negli ultimi tempi qualcosa sta cambiando.

Come nella pratica del fracking, i giacimenti stanno andando sempre più rapidamente ad esaurimento con conseguenze sempre più evidenti. Ma i dati recenti parlano chiaro: secondo un report di Statista, il 70% dei consumatori è propenso a essere più fedele alle aziende che dimostrano concretamente i propri valori e le proprie attività di responsabilità sociale d’impresa, e il 90% dei consumatori afferma di basare una decisione di acquisto per un brand che si occupa di una tematica a loro cara, e sono più propensi a scegliere di acquistare da aziende che rispettano i loro stessi valori di responsabilità sociale.

Alcune aziende se ne sono accorte, e hanno indirizzato le loro strategie in modo diverso con risultati forse maggiori di quanto avevano preventivato. Altri operatori rimangono invece ancorati alle modalità che in passato erano premianti nell’immediato, non rendendosi conto però che ora danno risultati sempre più magri, a dimostrazione del fatto che in realtà non sono sostenibili. Ecco perché la chiave del successo di una strategia di marketing è sempre più direttamente collegata a una governance dei dati personali sostenibile, comprendente un impegno etico che consenta all’ impresa che l’adotta di entrare nella cosiddetta catena del valore.

di Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy (Nòva Il Sole 24 Ore)

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