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2025 odissea nella privacy, non riveliamo all’AI le nostre intenzioni

Negli Stati Uniti, dove sono bravissimi a spiegare le cose senza poi trarne le dovute conseguenze, l’hanno già ribattezzata “economia delle intenzioni”, ipotizzando la nascita di un “mercato delle intenzioni”.

 Sergio Luciano, Direttore responsabile di Economy

(Nella foto: Sergio Luciano, Direttore responsabile di Economy)

Qualcuno avrà in mente quel bellissimo film di fantascienza con Tom Cruise… “Minority report”…una trama complessa, fantascientifica, in cui sostanzialmente l’Fbi riusciva ad anticipare le intenzioni dei delinquenti “prelevando” informazioni su di loro dalla coscienza di tre individui dotati di poteri extrasensoriali di precognizione amplificati, detti Precog…

Una palla, per ora. Ma con l’intelligenza artificiale, assai più prosaicamente, gli americani stanno già lavorando per riuscire finalmente a fare quel che finora il web, nonostante un’infame, sistematica violazione della nostra privacy, non è riuscito a fare: conoscere realmente in anticipo sui nostri atti d’acquisto le nostre intenzione d’acquisto.

Facciamo un piccolo passo indietro: l’utilità dei social media per il marketing – come riuscire a venderci ancora più roba inutile di quanta non ne compriamo già – è impallidita progressivamente negli ultimi due o tre anni, all’evidenza del fatto che i consumi pro-capite non crescono al di là del rapporto vincolante che si ostinano ad avere col potere d’acquisto di ciascuno, ossia in ultima analisi col Pil. E’ ovvio direte voi! Sì, ma non è ovvio per la visione californiana della vita, che prescinde ahiloro (e ahinoi) dalla logica aristotelica. Da qui l’inutile bombardamento di escrementi pubblicitari che i social – e il web in genere – ci rovesciano quotidianamente sulla testa.

Il mito evaporato è, in particolare, quello della “profilazione” degli utenti: la più grande bufala mai raccontata, un terrapiattismo commerciale che delude sempre di più gli inserzionisti.

Una riflessione, per poi tornare a bomba. Se cercate una qualsiasi cosa che abbia attinenza con il commercio su Google, noterete che la prima videata è quasi sempre del tutto saturata da link sponsorizzati, dai quali le persone comuni – cioè tutti noi – non diffidano perché non ne riconosco l’enorme differenza rispetto all’informazione neutra. Eppure, i venditori di prodotti che pervadono il web con i loro messaggi, a un certo punto devono arrendersi all’evidenza, se uno vende scarpe, e le persone hanno due piedi, difficilmente acquisteranno più scarpe del necessario o del piacevole, a meno di non essere psicopatici com’era Imelda Marcos, dimenticabile consorte del famigerato ex dittatore filippino.

Ma ora c’è l’intelligenza artificiale! In effetti c’è sempre stata, almeno da una ventina d’anni a questa parte, ma ora è diventata “pop”, con ChatGpt e le sue sorelle, che permettono già qualsiasi gioco a simulare, inventare frasi mai dette e attribuirle a personaggi ignari… Con continue violazioni della privacy in genere e in particolare dei diritti delle persone a non vedersi usare per scopi non condivisi. Ma naturalmente il “liberi tutti” americano non guarda a queste sottigliezze, e Wall Street, con il NASDAQ, ha trovato la nuova “equity story” (alias: bufala attraente) da utilizzare per mantenere il valore delle aziende hi-tech sui livelli demenziali raggiunto nonostante il crollo del mito dei social e il declino, almeno parziale, della chimera della decarbonizzazione.

E dunque come usare l’intelligenza artificiale per incrociare veramente le offerte commerciali con le nostre intenzioni d’acquisto? Per fare, insomma, quel che i social e le grandi piattaforme e-commerce non sono riuscite a fare?

Semplice: carpendo le nostre intenzioni! E l’università di Cambridge ha coniato appunto la formula di “economia delle intenzioni” per definire questo nuovo tentativo di furto con scasso ai nostri danni. Come funziona? Spiando attraverso sia le piattaforme di AI, sia le funzioni di Ai “embeddate” nelle piattaforme di ecommerce e i social, le imprese vorrebbero dati di natura psicologica e comportamentale in modo talmente sofisticato da “scoprire” i nostri desideri. Spiando conversazioni riservate; tracciando i click con ben altro acume; leggendo in trasparenza le scemenze che scriviamo, il dove e il quando le scriviamo. Insomma, facendosi tutti, ma proprio tutti, i fatti nostri.

Attenzione: da che mondo è mondo, il diavolo – per prenderci l’anima – ci accarezza. Immaginiamo che uno di noi, per fare un bel regalo al suo partner, non sappia decidersi: e possa interpellare un sistema che gli spieghi: “Amico caro, guarda che tuo marito ha comprato recentemente due dopobarba diversi, magari è il momento di regalargli un rasoio elettrico”… chi non sarebbe d’accordo? Ma se il marito in questione i dopobarba li ha avuti in regalo e non dalla moglie, che costei ne sia informata da uno spione digitale diventa meno divertente. E’ solo un esempio stupido, ma eloquente.

E’ evidente – e lo studio di Cambridge lo segnala – che un meccanismo del genere, spinto alle sue conseguenze logiche, può essere usato per manipolare le promesse elettorali, forgiare le opinioni dei soggetti più indecisi, indurre gli astensionisti a votare questo o quello. Si dirà: “Se sono dei fessi!”. Sì, ma in buona parte lo siamo o meglio: tutti noi, ogni tanto, siamo fessi

Le nostre opinioni, quando le esprimiamo, vengono già commercializzate. Con quest’approccio nuovo, lo saranno anche le intenzioni, ossia opinioni embrionali.

Visto che non basta catturare l’attenzione delle persone, o meglio non riesce più, perché il bombardamento di messaggi non lo consente, il web scala a un livello superiore la sua pretesa di manipolarci e ridurci a slot machine del consumo inutile.

Sia OpenAI che Apple, Meta e Nvidia stanno lavorando a questa nuova congiura contro la libertà. In America, dove comanda – con Trump più che mai, ma da sempre – solo il Re Dollaro, questi problemi se li pongono solo ristrette intellighenzie, da un lato imbelli e dall’altro corrotte o corruttibili. L’Europa, culla del diritto, si pavoneggia nel suo inutile Ai-Act ma in effetti è lì che aspetta la batosta prossima ventura.

La politica, già ridotta a poltiglia dai social, non è in grado di articolare alcun pensiero difensivo. E come sempre ciascuna fazione spera o addirittura conta di poter essere più brava degli avversari a usare i nuovi strumenti. L’oscena potenza dei social di oggi – in fatto di opinioni politiche manipolabili – porta la firm di due democratici come Clinton e Al Gore, ed è il piedistallo su cui, meglio dei loro eredi, è riuscito a salire l’oligarca Trump…

Come difendersi? A livello individuale, è possibile: basta capire queste dinamiche e ridurre drasticamente il livello di trasparenza che riserviamo oggi alle “macchine” sul nostro pensare. A livello di massa, ingenuo pensare che scatti qualche antidoto. Vince sempre Re Dollaro. Almeno per qualche anno ancora, fino alla prossima rivoluzione, per lo meno culturale.

Note sull'Autore

Sergio Luciano Sergio Luciano

Direttore responsabile di Economy ed Investire presso Economy Group

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