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Telegram e l’arresto di Durov: il «conflitto» tra privacy e sicurezza

Nel 2016, la giudice statunitense Sheri Pym chiese ad Apple di aiutare l’Fbi a sbloccare l’iPhone usato da Syed Rizwan Farook, l’uomo che, insieme alla moglie Tashfeen Malik, uccise 14 persone in una sparatoria il 2 dicembre a San Bernardino, in California. Apple si rifiutò di collaborare con la giustizia.

A scendere in campo fu Tim Cook in persona, il capo di Apple, che in una lettera pubblica definì la richiesta delle autorità “un abuso” che minacciava la sicurezza e la privacy degli utenti.

Per la prima volta, una Big Tech anteponeva il diritto di progettare software e hardware a tutela degli utenti. Negli Stati Uniti divampò una furiosa polemica sul diritto degli Stati sovrani e il potere sovranazionale delle grandi multinazionali della tecnologia.

Alla fine, l’Fbi riuscì a sbloccare il telefono di uno degli attentatori di San Bernardino senza l’aiuto di Apple. Il Dipartimento di Giustizia ritirò la sua azione legale contro Apple e nessuno parlò più a lungo di quanto accaduto. Fino a pochi giorni fa.

L’arresto a Parigi di Pavel Durov, il fondatore di Telegram, dovrebbe essere interpretato anche da una prospettiva tecnologica, che può riassumersi così: le Big Tech, indipendentemente dalla loro nazionalità, quando progettano un prodotto o un servizio, devono prevedere la possibilità di commettere illeciti e consentire alle autorità l’accertamento di un reato?

Il fondatore franco-russo di Telegram è accusato di essere complice nella commissione di reati, il che è un po’ come dire che Zuckerberg sia direttamente responsabile delle fake news circolate su Facebook durante le elezioni Usa o che Tim Cook abbia rapporti con tutti i criminali che usano un iPhone. Se venisse dimostrata la complicità di Durov sarebbe un conto, ma se così non fosse?

Dopo l’arresto, alcune personalità del web si sono subito schierate a favore di Pavel Durov. Tra queste, Elon Musk, che in numerosi tweet su X si è esposto e – a modo suo – si è schierato tra i sostenitori dell’hashtag #FreePavel, prima di ironizzare sulla posizione della Francia in relazione ai diritti: “Liberté. Liberté! Liberté?”.

Anche Edward Snowden, l’ex talpa della National Security Agency statunitense, ha commentato: “Sono sorpreso e profondamente rattristato che Macron sia sceso al livello della presa di ostaggi come mezzo per ottenere l’accesso alle comunicazioni private. Questo non abbassa solo la Francia, ma il mondo intero”.

Ora, ci sono alcune distinzioni da fare. Telegram, a differenza di Apple che produce elettronica di consumo, è una piattaforma crittografata che non modera i contenuti.

Al suo interno c’è di tutto, comprese voci di dissenso di chi vive in stati autoritari e fonti anonime che pubblicano foto e video sul conflitto in Ucraina. La rivista online *Politico* ha definito Telegram il social Dottor Jekyll e Mister Hyde, luogo di propaganda e contro-propaganda.

(Nella foto: Luca Tremolada, giornalista esperto delle nuove tecnologie del Sole 24 Ore)

Per quanto riguarda Elon Musk, va ricordato che X è sotto i riflettori dell’Unione Europea, in particolare del commissario Thierry Breton, per le attività di contrasto all’odio online e alla disinformazione.

E per quanto riguarda Snowden, è ricercato dalle autorità statunitensi, ma attualmente è in esilio in Russia.

Ciò detto, il problema che sollevano è reale. La domanda che tutti i produttori di tecnologia dovrebbero porsi è la seguente: è lecito rilasciare servizi che ostacolano il controllo da parte dello Stato o delle forze di polizia? Occorre prevedere in fase di progettazione backdoor o tecnologie che rendano questi sistemi interrogabili, ad esempio, dalle autorità giudiziarie? Sono leciti servizi di anonimizzazione progettati per essere impenetrabili da chiunque?

Se fosse così, vorrebbe dire vietare le Vpn, quelle reti private virtuali che garantiscono privacy, anonimato e sicurezza? Ma anche la crittografia e, volendo, le password. Un obbligo di cooperazione segnerebbe la fine di un pezzo di tecnologia che va dagli smartphone Apple ai social come Telegram. È davvero questo ciò che vogliamo?

di Luca Tremolada (fonte: Il Sole 24 Ore)

Note Autore

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