Va cancellata dai registri di stato civile la sentenza di ripudio della moglie
Va cancellata dai registri dello stato civile italiano la sentenza, non definitiva, di scioglimento del matrimonio islamico, emessa dal tribunale sciaraitico con la formula del Talaq: il ripudio unilaterale della moglie da parte del marito. Per la Cassazione (sentenza 16804) la decisione di ripudio, che riguardava una coppia dalla doppia cittadinanza italiana e giordana, emanata all’estero, nello specifico in Palestina, da un’autorità religiosa, come il tribunale sciaraitico, anche se equiparabile, secondo la legge straniera, ad una sentenza del giudice statale, non può essere riconosciuta nell’ordimento giuridico italiano se viola principi di ordine pubblico sostanziale e processuale.
Dopo sette anni di battaglie legali, la donna ripudiata, ottiene la cancellazione dai registri dello stato civile italiano della trascrizione, avvenuta nel 2013, della sentenza di scioglimento del matrimonio. Una sorta di separazione alla quale era seguito il “divorzio” e il nulla osta al marito per un nuove nozze, visto che l’uomo, passato il tempo concesso per ricostituire l’unione, non aveva revocato il suo Talaq. Con il termine derivato dal verbo talaqa, “lasciar andare”, si indica l’ esclusiva facoltà dell’uomo, di sciogliere il matrimonio, con un atto di volontà unilaterale non recettizio.
E dunque perfezionabile anche se la moglie non ne è informata. Il tutto è regolato in base a due leggi del ’59 e del ’76, mentre la norma che prevede la possibilità per la donna di ripudiare il marito non è mai formalmente entrata in vigore. Tuttavia l’uomo può concedere alla moglie, il diritto ad autoripudiarsi, indicando la “concessione” nel contatto matrimoniale. Prima che siano scaduti i tre mesi il marito ha la facoltà di ritrattare, ma se non lo fa, o non rinnova un ripudio revocabile, il matrimonio è sciolto: il Talaq può essere pronunciato un massimo di tre volte. I giudici di legittimità sottolineano che la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha ancora chiarito se il riconoscimento in uno stato contraente, di un ripudio unilaterale pronunciato all’estero, ad esempio in base al diritto islamico e non accettato dalla donna, possa violare l’articolo 5 del protocollo numero 7 che sancisce il principio di uguaglianza tra i componenti della coppia nel matrimonio.
Per la Corte di giustizia le pronunce dei tribunali religiosi, assimilate nel paese straniero, ai tribunali statali - come il tribunale sciaraitico al quale lo Stato ha demandato la materia familiare - restano fuori dalla sfera di applicazione delle norme europee di conflitto. Il Regolamento comunitario non è dunque applicabile alla Talaq. L’ufficio del massimario della Cassazione ha predisposto una relazione sul diritto islamico, chiarendo le profonde differenza tra stati. Per la Suprema corte però non c’è dubbio che la Talaq violi il principio di non discriminazione tra uomo e donna, mettendo in atto una discriminazione di genere. A non essere rispettata è anche la parità di difesa in assenza di un procedimento svolto nel contraddittorio.
L’istituto del ripudio, secondo la legge giordana applicabile in Palestina, discrimina la donna concedendo solo all’uomo di liberarsi dal vincolo senza dare alcuna motivazione, ma pronunciando una sola parola. Mentre per il concetto di ordine pubblico interno il matrimonio può sciogliersi solo dopo l’accertamento del disfacimento della comunione di vita familiare. Principi lontani dal tipo di divorzio esaminato. Per la novità delle questioni trattate la Cassazione compensa però le spese.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 12 agosto 2020