Trojan, non si applica la riforma ai procedimenti di criminalità organizzata iscritti prima del 1° settembre
In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni mediante captatore informatico (trojan horse), la riforma introdotta dal Dlgs 29 dicembre 2017, n. 216, come ripetutamente modificata - da ultimo - dal Dl 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, si applica solo ai procedimenti penali iscritti dal 1° settembre 2020, con la conseguenza che quelli in materia di criminalità organizzata iscritti anteriormente a tale data sono soggetti alla disciplina precedentemente in vigore, nel rispetto dei principi affermati dalle sezioni Unite Scurato.
Così la Quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 33138/2020, depositata lo scorso 25 novembre, che - in fattispecie cautelare ove venivano in rilievo, a fondamento del quadro indiziario esibito nel titolo custodiale, esiti captativi effettuati mediante trojan - ha escluso che il vaglio di legittimità delle intercettazioni dovesse essere compiuto secondo le coordinate ermeneutiche del Dlgs n. 216/2017. Secondo la Corte, trattandosi di procedimento penale iscritto sì per reati di criminalità organizzata (articolo 416-bis del Cp e 74 del Dpr n. 309/1990) ma prima del 1° settembre scorso (data di definitiva entrata in vigore della novella, la cui efficacie è stata più volte differita negli ultimi anni), deve ritenersi legittimo l'utilizzo del captatore informatico anche in luoghi di privata dimora.
Per i fascicoli pregressi, dunque, nessuna inutilizzabilità è deducibile ai sensi della nuova legge sulle intercettazioni: per la Suprema corte il coacervo di nuove regole e modalità di controllo non rileva nella vicenda di specie in quanto, ai sensi dell'articolo 9 del Dlgs n. 216/2017 - attuativo della legge-delega n. 103/2017 - la riforma trova applicazione ai procedimenti penali iscritti (e quindi alle intercettazioni effettuate a partire) dal 1° settembre 2020.
La sentenza in commento trova sicuro ancoraggio nel principio del tempus regit actum: alle intercettazioni per procedimenti in materia di criminalità organizzata iscritti anteriormente al 1° settembre 2020 si applicano le regole già in vigore all'epoca, le cui coordinate ermeneutiche sono state chiarite dalla giurisprudenza nomofilattica.
Riaffiora, allora, per i fatti pregressi, il fondamentale arresto delle sezioni Unite penali Scurato, che aveva legittimato l'utilizzo del captatore informatico nei processi per reati di criminalità organizzata, anche terroristica, per tali intendendosi quelli «elencati nell'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del Cpp, nonché quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato» (Cassazione, sezioni Unite penali, n. 26889/2016, Scurato, Ced 266905).
Movendo dal presupposto costituito dall'impossibilità di azionare da remoto il microfono e di distinguere tra i luoghi in cui la captazione avveniva, il Collegio esteso aveva escluso l'impiego del captatore laddove l'intercettazione domiciliare avesse presupposti specifici; di conseguenza, aveva circoscritto l'impiego del trojan indagini in materia di criminalità organizzata - come sopra individuata - dove l'intercettazione domiciliare si può effettuare a prescindere dal requisito costituito dall'esistenza di un fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.
Secondo il massimo Consesso di legittimità «l'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l'installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui all'articolo 13 del Dl n. 151/1991, convertito dalla legge n. 203/1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto».
Fonte: Il Sole 24 Ore dell'8 dicembre 2020