Tabulati telefonici, caos sulla data retention
Sulla data retention è caos negli uffici giudiziari. Ne è esempio quanto avvenuto nell’ufficio Gip di Roma, dove, a distanza di pochi giorni sono state fornite interpretazioni divergenti sull’acquisizione dei tabulati telefonici.
A monte c’è la ormai nota sentenza della Corte di giustizia europea del 2 marzo 2021 con la quale è stato affermato che la decisione sull’accesso ai dati esterni delle comunicazioni (quelli interni coincidendo con i contenuti, oggetto semmai di intercettazioni) non può essere presa da un organo privo di terzietà come il rappresentante della pubblica accusa; inoltre, la pronuncia europea osserva che l’acquisizione è possibile solo per la repressione di «forme gravi di criminalità» o di «gravi minacce alla sicurezza pubblica».
A valle della pronuncia, l’ufficio Gip della capitale poche settimane fa aveva da una parte ritenuto immediatamente esecutiva la sentenza della Corte aggirando l’ostacolo della apparente eccessiva genericità della nozione di gravità dei reati interessati dalla possibilità di acquisizione, con un’interpretazione che ha fatto leva sull’articolo 266 del Codice di procedura penale, considerando l’acquisizione sempre possibile per tutti i reati che possono essere oggetto della più invasiva attività di intercettazione.
Una lettura troppo creativa afferma adesso un successivo decreto del medesimo ufficio, per il quale è vero che ai principi espressi nelle sentenze della Corte di giustizia europea deve essere attribuito il valore di fonte del diritto comunitario e tuttavia, quanto alla loro immediata applicazione nell’ordinamento giuridico italiano, va escluso che la sentenza del 2 marzo possa essere subito esecutiva. Troppo ampi infatti sono i margini di indeterminatezza del riferimento ai casi in cui l’acquisizione è ammessa, «casi la cui concreta declinazione non può non ritenersi demandata (e venendo di fatto demandata dalla sentenza), in esecuzione ai proposti principi interpretativi della normativa Ue, alla legge nazionale, e non alla elaborazione giurisprudenziale».
Così non è possibile che debba essere il giudice e non la legge a stabilire nell’ordine:
a) che per effetto della sentenza l’autorizzazione deve provenire da una autorità giurisdizionale;
b) che quell’autorità deve essere il Gip;
c) «quali sono i procedimenti che rientrano nella classe “procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica”, andando a formare con criteri del tutto discrezionali – che potrebbero variare da sede a sede come è fisiologico che accada nella giurisdizione – il catalogo dei reati in relazione ai quali l'autorizzazione può essere concessa , magari con creativi rimandi (alternativi?, congiunti?) a quelli di cui agli articoli 266 , 407 comma 2 lettera a), 51 commi 3 bis, 3 ter e 3 quater cpp».
La conclusione è allora quella della persistenza della disciplina preesistente, in attesa di un intervento del legislatore che è lo stesso Gip ad auspicare.
Rispetto quindi alla richiesta di acquisizione formulata dal pubblico ministero, la risposta è un non luogo a provvedere all’istanza con restituzione degli atti al Pm.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 6 maggio 2021