Informazioni sui clienti: uso da valutare caso per caso
Un interessante profilo dell’obbligo di riservatezza gravante sul lavoratore è quello relativo a casi in cui la violazione riguardi non l’attività produttiva del datore ma i dati personali dei clienti con i quali il dipendente possa venire a contatto o che siano da questo facilmente accessibili. La Cassazione, con la decisione n. 14319 dell’8 giugno 2017 – pronunciatasi sulla legittimità del licenziamento intimato alla dipendente di un call-center per aver effettuato un ingiustificato accesso al traffico telefonico di alcuni clienti – ha ritenuto che l’indebita visualizzazione dei dati dei clienti fosse idonea a ledere il vincolo fiduciario sia alla luce delle funzioni attribuite alla lavoratrice sia per l’esposizione del datore di lavoro al rischio di violazioni della normativa privacy.
Per il Tribunale di Milano (pronuncia del 13 giugno 2012), tuttavia, in queste ipotesi non rilevano né la natura sensibile dei dati di cui si effettui un indebito trattamento, né l’effettiva sussistenza di un danno per la società datrice di lavoro, ma è sufficiente che la condotta sia idonea, anche solo potenzialmente, a comportare conseguenze negative per il datore di lavoro.
La natura dei dati trattati illecitamente e/o i fini di tale indebito trattamento possono però rilevare nella valutazione della proporzionalità del licenziamento. Ad esempio, è stato ritenuto sproporzionato il licenziamento del dipendente che aveva effettuato un trattamento illecito dei dati di un paziente dell’ospedale presso cui lavorava (acquisizione del numero di cellulare dal database aziendale), in ragione della natura non “sensibile” del dato acquisito, così come del fatto che tale dato non fosse stato poi “diffuso” (Tribunale di Milano, 22 novembre 2011, n. 5634).
Al contrario, è stata esclusa la rilevanza disciplinare della condotta di una cameriera d’albergo che aveva comunicato informazioni riservate sul comportamento “inadeguato” tenuto da un cliente all’associazione religiosa cui entrambi aderivano: sulla base del rilievo che i membri dell’associazione accettano la regola di segnalazione ai responsabili di trasgressioni commesse da altri adepti, la condotta della lavoratrice non solo non integrava violazione della normativa privacy, ma il licenziamento così intimato doveva ritenersi illegittimo (Tribunale di Venezia, 29 novembre 2016).
Fonte: Il Sole 24 Ore del 2 luglio 2018