Informazioni commerciali, i dati provenienti da fonte pubblica non vanno presi per oro colato
Non si può perdere la faccia per debiti altrui. Le società di informazioni commerciali, nell'elaborare la scheda di rischio su una singola persona, devono stare attente anche quando inseriscono le informazioni esatte provenienti da fonti pubbliche. Per come sono elaborate, infatti, potrebbero dare un risultato non corretto.
È quanto deciso dalla corte di Cassazione con la ordinanza 368 del 13 gennaio 2021, che pone a carico delle imprese di informazioni commerciali l'onere di costruire profili rispettosi della privacy.
E per privacy si deve intendere la vera ed effettiva identità di una persona e tutti i profili da cui deriva la sua rispettabilità. Nel caso specifico alcune persone erano state citate in una causa cosiddetta revocatoria.
Con un'azione revocatoria un creditore chiede di rendere inefficace, ad esempio, il trasferimento di un immobile da parte del suo debitore a un terzo acquirente. Talvolta si tratta di manovre per sottrarre la casa ai debitori, cedendola a un prestanome.
In ogni caso, il terzo acquirente non è il debitore, ma la casa acquistata o ricevuta in donazione può essere pignorata dal creditore del venditore o donatore. La causa pendente viene registrata nei tribunali ed anche nei registri immobiliari e queste trascrizioni possono essere riportate nelle schede redatte dalle società di informazioni commerciali. Così essere citato in una azione revocatoria per debiti altrui è segnalata come una notizia negativa, in quanto la casa viene pignorata. Il pignorato-non debitore potrebbe avere conseguenze, perché ritenuto non meritevole di avere finanziamenti. Quindi, magari, si va in banca e ci si cede negare un fido per debiti di altri. Il fatto è che le notizie sono esatte, ma non è detto che il pignorato sia un cattivo pagatore,
Su situazioni come queste, molto diffuse, interviene la Cassazione cominciando a ricordare che la privacy tutela anche i dati già pubblici o pubblicati. Quindi, chi compie operazioni di trattamento di tali informazioni, dal loro accostamento, comparazione, esame, analisi, congiunzione, rapporto od incrocio può ricavare ulteriori informazioni e, quindi, un valore aggiunto informativo, non estraibile dai dati isolatamente considerati.
Questo risultato, però, potrebbe essere lesivo della dignità dell'interessato e la tutela della dignità dell'interessato prevale sull'iniziativa economica privata. La sentenza della cassazione fa riferimento ad articoli abrogati del codice della privacy (in particolare l'articolo 11), ma che sono ancora validi perché riprodotti nell'articolo 5 del regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679 (Gdpr): tutti i dati personali, compresi quelli di natura soggettiva, come opinioni e valutazioni che rilevano soprattutto nel settore bancario, per la valutazione dell'affidabilità di chi richiede un prestito, o assicurativo o nel mercato del lavoro, scrive la cassazione, devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza, essere pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati.
Non è sufficiente inserire nel proprio archivio dati conformi e in linea con quelli risultanti dai pubblici registri. La fonte pubblica non è una giustificazione sempre valida. Le società che si occupano di informazioni commerciali devono verificare le finalità del trattamento e, quindi, la pertinenza e non eccedenza di quest'ultimo rispetto alle prime.
Ed è proprio questo il punto. Chi vende informazioni commerciali, specie se etichettano le persone (affidabile o non affidabile) non deve limitarsi a copiare e incollare nei propri report le informazioni disponibili. D'altra parte un servizio di informazione commerciale è buono se classifica Tizio come debitore e, a maggior ragione, cattivo debitore solo quando e se effettivamente è tale. Se, invece, si affibbia a Tizio una qualifica non corretta (debitore o cattivo debitore) si spinge fuori dal mercato un operatore affidabile e il servizio informativo non produce utilità. Anzi allontana senza motivazione un buon pagatore. Insomma, rispettare la privacy migliora il servizio della circolazione delle informazioni e il mercato del credito.
Fonte: Italia Oggi del 3 marzo 2021 - di Antonio Ciccia Messina