Così si muove l’Europa sui cookie: il timore è che la privacy diventi un lusso
Sono anni che l’Europa cerca, senza frutto, di aggiornare la direttiva e-privacy sulle comunicazioni elettroniche del 2002 che regola, tra le altre cose, anche i cookie che governano la pubblicità online.
La proposta di regolamento è stata presentata nel 2017 dalla Commissione, il Parlamento ha votato i suoi emendamenti, ma da anni i governi la rimbalzano nell’agenda di anno in anno tanto che, ormai, le speranze che si arrivi a un testo finale sembrano essere del tutto svanite.
Dovendo fare di necessità virtù, la Commissione ha proposto allora una misura volontaria, chiamata “Cookie Pledge” che sarà presentata in maniera definitiva ad aprile di quest’anno.
Si tratta di una serie di misure che hanno lo scopo di semplificare la vita degli utenti, stanchi di dover dare di continuo consensi a banner e cookie policy che tanto non leggeranno mai (la cd. cookie fatigue). Nel banner, dunque, ci saranno meno informazioni ma più rilevanti e, soprattutto, chiare.
Ma il nodo cruciale che si vuole sciogliere, è capire se sarà legittimo o meno il sistema “Pay or leave” adottato sempre di più da molti siti, soprattutto dell’editoria ma, di recente, anche da Meta: se non vuoi essere profilato, allora devi pagare un piccolo obolo. Obolo che servirà a compensare gli introiti mancanti dovuti proprio al blocco della pubblicità personalizzata.
(Nella foto: Vincenzo Tiani, partner di Panetta Law Firm, consulente, giornalista, e docente universitario)
L’iniziativa della Commissione prevede che gli editori (e tutti gli altri) dovranno non solo spiegare in che modo monetizzano l’uso dei dati personali, ma dovranno altresì offrire una terza via, oltre al “Pay or leave”, in cui si propone una pubblicità meno invasiva.
Proprio sul punto alcuni editori hanno già dichiarato che sarà impossibile per loro attuare questo principio per motivi economici. Sul punto si è anche espresso il comitato dei Garanti europei della privacy, l’EDPB, che ha sottolineato come, pur sostenendo l’adozione di questi principi, non mancherà di valutare, caso per caso, la legittimità del principio “pay or leave”, ancora sub iudice. Il timore dei garanti è, da tempo, che questo sistema porti ad una società in cui la privacy da diritto fondamentale diventi un lusso, che solo alcuni si potranno permettere. Dall’altro lato della barricata ci sono gli editori che, da quando più o meno internet esiste, sono vittime del messaggio diffuso che l’informazione debba essere gratuita.
La via di mezzo proposta dall’EDPB è l’uso della pubblicità contestuale, che vuol dire, ad esempio, far vedere pubblicità di marchi sportivi a chi legge notizie di sport. Traslare sull’online quanto avviene nei magazine di settore da decenni, per salvaguardare privacy ed introiti.
di Vincenzo Tiani (Fonte: Il Sole 24 Ore)