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Vaccinazioni in azienda, le criticità del rispetto della privacy

Il Garante della privacy, con il documento diffuso il 14 maggio scorso, detta regole per le vaccinazioni in azienda che rischiano di rendere molto complicate le iniziative vaccinali che molte aziende si erano già dichiarate disponibili a intraprendere. La questione di fondo riguarda la possibilità che il datore di lavoro, anche indirettamente o accidentalmente, venga a conoscenza dell’adesione o meno del lavoratore alla campagna vaccinale.

Vaccinazioni in azienda complicate dalla privacy

Su questo il Garante ha un approccio particolarmente rigido, dettato dall’intento di tutelare la libertà di scelta del lavoratore, che si scontra però con una serie di problemi applicativi e organizzativi, forse non sufficientemente valutati. Se infatti, con riferimento alla preliminare raccolta delle adesioni, l’accentramento del trattamento del dato esclusivamente in capo al medico competente o ai sanitari delle strutture sanitarie eventualmente convenzionate può essere gestibile, non altrettanto può dirsi per quanto riguarda la fase di concreta organizzazione delle vaccinazioni.

La prima criticità riguarda proprio la pianificazione delle vaccinazioni. Posto, infatti, che la vaccinazione implica l’allontanamento temporaneo dalla postazione di lavoro, è evidente che si tratterà di organizzare una turnazione che garantisca la prosecuzione dell’attività.

È difficile, al riguardo, immaginare che a strutturare i turni sia il medico competente, senza coinvolgere i responsabili dei vari uffici o reparti. Né è ipotizzabile che il singolo lavoratore si assenti di propria iniziativa senza giustificare l’assenza. Al riguardo il Garante fa riferimento alle «modalità ordinarie stabilite nei contratti collettivi nazionali applicabili», che però presuppongono generalmente una richiesta di permesso motivata, presentata con un certo preavviso.

Non solo. Il rilascio da parte del soggetto che somministra la vaccinazione di una «attestazione di prestazione sanitaria indicata in termini generici», che il Garante indica come modalità di giustificazione (a posteriori), confligge con il principio (espresso dal Protocollo nazionale per le vaccinazioni nei luoghi di lavoro e richiamato dallo stesso Garante) secondo cui, quando la vaccinazione viene eseguita durante il servizio, il tempo necessario alla medesima è equiparato a tutti gli effetti all’orario di lavoro.

Tale equiparazione infatti, per essere effettiva, implica che non sia necessario “scalare” dal monte permessi a disposizione del lavoratore il tempo necessario per partecipare alla vaccinazione aziendale. In altre parole, il datore di lavoro dovrebbe retribuire l’assenza equiparandola all’attività lavorativa, senza che il lavoratore sia costretto a utilizzare un permesso. Ma ciò all’evidenza non è possibile se al datore di lavoro non è dato conoscere il motivo dell’assenza. Senza contare che non sempre nei contratti collettivi i permessi per ragioni sanitarie “generiche” sono retribuiti.

Ulteriori criticità derivano dalle prescrizioni del Garante riguardo agli ambienti destinati alla vaccinazione, che dovrebbero avere caratteristiche tali da «evitare per quanto possibile di conoscere, da parte di colleghi e di terzi, l’identità dei dipendenti che hanno scelto di aderire alla campagna vaccinale» e dovrebbero altresì essere adottate non meglio identificate misure che prevengano «l’ingiustificata circolazione di informazioni nel contesto lavorativo o comportamenti ispirati a mera curiosità». Compito piuttosto arduo, come ben si può immaginare, che carica il datore di responsabilità che certo non lo incoraggiano a dare il suo contributo alla campagna vaccinale.

Peraltro, vien da chiedersi se, in un momento in cui si discute dell’introduzione di un green pass vaccinale per accedere a determinati luoghi o attività, abbia davvero senso, in un’ottica di bilanciamento tra libertà del singolo e diritto alla salute collettiva, inibire sempre e comunque al datore di lavoro la conoscenza dello stato di vaccinazione o meno del lavoratore, privandolo così della possibilità di organizzare l’attività, nelle sue varie articolazioni (turni, trasferte, mansioni a rischio), in modo più sicuro.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 19 maggio 2021

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