Intercettazioni più ampie se i fatti sono gli stessi
Le intercettazioni autorizzate per indagare sul reato di corruzione sono utilizzabili anche se il capo di imputazione cambia e si converte in abuso d’ufficio. È necessario però che i fatti siano gli stessi; se così non è allora le intercettazioni non saranno utilizzabili e si procederà alla prova di resistenza per verificarne la gravità indiziaria. Questa la conclusione della Cassazione con la sentenza n. 23244 della Sesta sezione penale depositata il 14 giugno 2021.
L’autorizzazione - La sentenza mette in evidenza come, per una corretta motivazione che sorregga l’autorizzazione, è necessario che il giudice renda evidenti le ragioni che lo spingono ad accogliere le richieste del pubblico ministero, perché proprio quelle intercettazioni, relative a quella particolare utenza, devono essere considerate indispensabili per l’accertamento del fatto specifico al quale fanno riferimento le indagini e per l’identificazione dei responsabili.
Il soggetto non indagato - Se poi il collegamento è relativo a un soggetto non indagato la necessità di corroborare le la relazione tra l’indagine in corso e la persona intercettata è ancora più stringente ; il giudice dovrà indicare puntualmente le ragioni investigative che rendono indispensabile l’intercettazione e i motivi per cui la persona interessata dovrebbe essere informata dei fatti.
Se cambia l’imputazione - In caso di modifica della qualificazione giuridica del fatto- reato autorizzato in un altro fatto-reato però non suscettibile di richiesta di intercettazione, l’inutilizzabilità delle intercettazioni che hanno reso necessaria la riformulazione «opera solo se i presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancassero già al momento in cui il procedimento autorizzativo si è compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice». I risultati dell’operazione di ascolto delle comunicazioni autorizzata in maniera corretta restano invece pienamente utilizzabili rispetto a tutti i fisiologici sviluppi del procedimento.
Il punto di equilibrio - La sentenza tuttavia non ignora la necessità di raggiungere un punto di equilibrio tra esigenze diverse: da una parte la necessità di non considerare inutilizzabili i risultati delle intercettazioni in presenza di un fatto storico rimasto sostanzialmente inalterato rispetto a quello autorizzato, ma solo non completamente riscontrato per effetto dei cambiamenti emersi proprio in seguito ai risultati dell’intercettazione; dall’altra, la volontà di evitare abusi che potrebbero verificarsi con il ricorso pretestuoso alla descrizione di un fatto-reato autorizzabile per aggirare i limiti previsti dal Codice di procedura penale.
Il fatto storico - Se la fattispecie è patologica, afferma la pronuncia, ed è il caso di divergenza tra fatto-reato di cui si chiede intercettazione e risultati investigativi, allora il controllo del giudice deve rilevare la mancata corrispondenza e negare l’autorizzazione; se invece non si è in presenza di aggiramento dei divieti di legge, allora vanno considerati elementi come la provvisorietà dell’addebito, la fluidità degli elementi raccolti, la loro possibile modificazione, «ciò che rileva è che al momento in cui viene disposta l’intercettazione vi siano i presupposti previsti dalla legge».
Toccherà così al giudice effettuare la verifica finale per accertare la coincidenza dei fatti storici per i quali si procede. Cosa che andrà fatta, nel caso specifico, per accertare se i fatti oggetto dell’autorizzazione erano gli stessi alla base del riqualificato abuso d’ufficio.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 15 giugno 2021