Cassazione: il solo account non attesta la paternità di un post
Il solo account senza indirizzo IP non è sufficiente per accertare la paternità dei post diffamatori. Lo conferma la Cassazione, nella sentenza 5352/2018, che ha esaminato un caso di diffamazione su Facebook. Nel 2016 la Corte d'appello di Lecce rigettò il ricorso di una sindacalista condannata per aver pubblicato su un forum, col suo account, un post diffamatorio.
La donna impugnò la sentenza: il suo account infatti era accessibile da altri utenti. La Corte ritenne fondato il rigetto del ricorso basandosi sullo screenshot del forum. Ma la donna elencava alcuni elementi non esaminati «come la mancata identificazione dell'indirizzo IP di provenienza del post, la mancanza di conoscenza della persona del sindaco, l'assenza di qualsiasi contrasto con il predetto, il diverso ambito di interesse dell'attività sindacale svolta, (nel settore dei lavoratori chimici, elettronici e tessili) rispetto ai lavoratori di cui al forum».
In particolare la sindacalista contestava altri elementi come «l'omessa verifica da parte dell'accusa dell'indirizzo IP di provenienza della frase diffamatoria, così come manca la prova fornita attraverso i file di log, contenenti tempi e orari della connessione».
Soprattutto perché l'indirizzo IP rilevato apparteneva ad un altro profilo: un sindacalista sul cui account scrivevano molti utenti. I giudici hanno però accolto il ricorso bacchettando in sordina le decisioni precedenti. «La motivazione della sentenza di appello non si confronta con le specifiche lagnanze mosse dalla difesa, relative all'indicata intestazione dell'IP individuato in origine dalla parte civile, riferibile al profilo facebook registrato a nome della sindacalista, forum sulla cui bacheca virtuale, secondo la ricorrente, intervenivano numerosi utenti che ben avrebbero potuto utilizzare il suo nickname».
Quindi i porporati concludono che la sentenza di appello ha optato per una motivazione «insufficiente circa il prospettato dubbio relativo all'eventualità che terzi abbiano potuto utilizzare il nickname dell'imputata, mandando il messaggio sul forum di discussione».
Fonte: Italia Oggi del 10 aprile 2018 - Articolo a cura di Fabrizio Barresi