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Assegno all’ex: giudici divisi tra privacy e indagini sui beni del coniuge

Il diritto all’accesso ai dati reddituali e patrimoniali da parte di un coniuge nei confronti dell’altro nel corso del processo di separazione e di divorzio sta diventando un tema di confronto giurisprudenziale tra chi sostiene la supremazia della privacy e chi, invece, ritiene prevalente il diritto allo svelamento, al fine di garantire una effettiva tutela della parte più debole del rapporto matrimoniale. Con la sentenza 5763 del 2 ottobre 2018 il Tar della Campania si è inserito in questo dibattito,pronunciandosi a favore del diritto all’accesso ai documenti reddituali e affermando che tale diritto è esercitabile dal coniuge anche senza previa autorizzazione da parte del giudice del processo separativo.

Ad agosto scorso invece, il Tar Lombardia con la sentenza n. 2024 aveva bocciato la richiesta di accesso ai dati ritenendo prevalente il diritto alla riservatezza.

L’intervento del giudice - In tema di accesso ai dati tributari degli ex coniugi, il Dl 132/2014 ha ampliato i poteri istruttori del giudice civile, consentendo al magistrato la possibilità di ricostruire direttamente e in maniera completa, attraverso la “ricerca telematica”, il patrimonio di ogni coniuge al fine di determinare il valore dell’assegno matrimoniale (articoli 155 sexies e 492bis del Codice di procedura civile).

Questa nuova facoltà non ha ridotto però il diritto che ogni coniuge ha di curare e difendere i propri interessi ed esercitare, direttamente con l’agenzia delle Entrate, il proprio «diritto all’accesso alle informazioni» di carattere reddituale e patrimoniale dell’altro coniuge. Nel maggio 2014, il Consiglio di Stato stabilì infatti (nell’accogliere una richiesta di accesso che invece era stata negata dal Tar Lazio) che doveva essere «sempre garantito» l’accesso ai documenti amministrativi e la conoscenza dei dati necessari per difendere i propri interessi giuridici.

Per altro, secondo il Consiglio di Stato, quando si discute di cura degli interessi economici e serenità dell’assetto familiare soprattutto nei riguardi dei figli minori, il diritto all’accesso “prevale” sulla privacy e sul diritto alla riservatezza.

Gli orientamenti - La sentenza del Consiglio di Stato non ha fermato lo scontro interpretativo e non sono mancate pronunce più restrittive, come ad esempio quella del Tar Lombardia che aveva fatto prevalere il diritto alla riservatezza su quello dell’accesso agli atti proprio basandosi sull’esistenza di altri rimedi processuali che permettono di integrare la documentazione non messa a disposizioni della controparte (si veda il Quotidiano del diritto del 22 ottobre) .

Il Tar Campania, invece, con la sentenza del 2 ottobre, intervenendo su di un “silenzio rigetto” relativo a una richiesta di accesso di un coniuge, ha ripreso ed ampliato l’interpretazione del Consiglio di Stato, affrontando anche il tema dell’autorizzazione del giudice.

Secondo il Tar Campania, l’attribuzione al giudice della facoltà di operare una sua autonoma «ricerca telematica» dei beni dei coniugi, è «complementare» all’esercizio del diritto di accesso da parte del singolo coniuge: è quindi esercitabile autonomamente senza un’autorizzazione specifica.

Questo perché l’adesione a una impostazione più restrittiva basata sulla necessità dell’autorizzazione, affievolirebbe il possibile «concorso di più strumenti di tutela»: quello assicurato dal diritto all’accesso da parte di uno dei coniugi e quello attivabile da giudice nella sede processuale.

Sulla base di queste considerazioni il Tar, ha riconosciuto quindi il diritto a ottenere l’accesso, ai documenti detenuti dall’agenzia delle Entrate ricavabili dall’Archivio dei rapporti finanziari, e di estrarne copia.

Fonte: Il Sole 24 Ore 

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