Via libera al testamento digitale per i profili social
Con il testamento digitale si può decidere la sorte di profili social e account on-line: chi può avere accesso e chi no; chi può chiedere la cancellazione e così via. Le «ultime volontà virtuali» devono essere comunicate al gestore del servizio della società dell'informazione. A disciplinare questa nuova frontiera del diritto della successione, che dai beni materiali si sposta ai beni immateriali, è il Codice della privacy, all'articolo 2-terdecies, introdotto dal decreto legislativo 101/2018.
La regola. I diritti di accesso, rettifica, cancellazione, limitazione, portabilità, opposizione e i diritti relativi alle decisioni interamente automatizzate riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione. Così scrive il primo comma dell'articolo 2-terdecies. Pertanto il gruppo degli aventi diritto comprende: a) i portatori di un interesse proprio; b) i mandatari dell'interessato deceduto; c) i portatori di ragioni familiari meritevoli di protezione. Esemplifichiamo. Nella giurisprudenza del Garante della privacy, sviluppatasi su analoga norma del vecchio codice della privacy, troviamo una serie di casi. Il primo è quello dell'erede, che può chiedere alla banca i dati personali relativi a contratti bancari intestati al defunto (Garante 3/4/2002; Garante 25/10/2002; Garante 22/9/2003). L'Autorità garante ha aggiunto che il discendente del defunto ha pieno titolo ad accedere ai dati personali del «de cuius» a prescindere dalla concreta posizione attualmente rivestita in ambito successorio: non c'è bisogno, per avere i dati, di dimostrare la qualità di chiamato all'eredità o esibire particolari documenti, quale la procura notarile rilasciata dagli eventuali altri eredi. Questa precisazione è stata fornita a proposito del discendente del defunto che ha chiesto a un avvocato, che aveva assistito professionalmente il «de cuius», di accedere ai dati di quest'ultimo contenuti in atti e documenti detenuti in ragione del mandato difensivo ricevuto dal proprio cliente (Garante 19/11/2003). Nella casistica trova posto anche il fratello di una persona deceduta, che ha diritto di ottenere da un ospedale la comunicazione in forma intelligibile dei dati personali di una signora defunta, contenuti nella cartella clinica e nel verbale di autopsia (Garante 25/9/2008).
L'eccezione. La regola generale concede con ampiezza di conoscere i dati dei defunti. A beneficiare non sono solo parenti o congiunti, ma chiunque abbia un interesse proprio ed esclusivamente individuale. Da notare che lo strumento dell'accesso in base alla regola della privacy viaggia in parallelo rispetto ad altre possibili forme di comunicazione di dati relativi a defunti. Per esempio, in ambito bancario coesistono le richieste di informazioni sui conti (art. 119 T.u. bancario) e l'accesso in base alla normativa sulla privacy. Passando alle norme del Codice della privacy, introdotte dal dlgs 101/2018, abbiamo una disciplina ad hoc per i servizi della società dell'informazione. Per comprendere la norma occorre capire quali siano i servizi di cui si parla. Nella relazione illustrativa a quello che sarebbe diventato il decreto legislativo 101/2018, si legge che sono servizi della società dell'informazione quei servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario, quali per esempio i trattamenti di dati conseguenti all'iscrizione a social network o a servizi di messaggistica. Dunque, nell'ambito di questi servizi, il codice della privacy (art. 2-terdecies) esclude l'esercizio dei diritti di accesso, rettifica, cancellazione, limitazione, portabilità, opposizione e i diritti relativi alle decisioni interamente automatizzate riferiti ai dati personali concernenti persone decedute. Le ipotesi in cui si stoppa l'esercizio dei diritti sui dati delle persone morte, in realtà, sono due. La prima è quella in cui c'è una legge che escluda l'esercizio dei diritti stessi. Il secondo caso riguarda le situazioni in cui, limitatamente all'offerta diretta di servizi della società dell'informazione, l'interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest'ultimo comunicata. Questo implica che l'interessato abbia scritto le sue ultime volontà, una sorta di testamento relativo ai dati caricati in rete. Il contenuto di queste «ultime volontà digitali» può essere di due tipi: a) divieto totale di esercizio dei diritto; b) divieto parziale di esercizio dei diritti. La forma è una dichiarazione scritta, su supporto cartaceo o supporto informatico (avente il valore di scrittura). Deve essere certa la provenienza dall'interessato. Il testamento digitale deve essere comunicato al titolare del trattamento o, comunque, deve essere portato a conoscenza del titolare del trattamento. In base alla norma, la comunicazione al titolare del trattamento è condizione di efficacia delle ultime volontà. Se c'è una pluralità di titolari del trattamento, l'efficacia delle ultime volontà digitali dipenderà dall'avvenuta comunicazione a ciascuno di essi. L'interessato dovrà cautelarsi e tenere documentazione dell'avvenuta comunicazione. La legge prosegue affermando che volontà dell'interessato di vietare l'esercizio dei diritti deve risultare in modo non equivoco e deve essere specifica, libera e informata; il divieto può riguardare l'esercizio soltanto di alcuni dei diritti. La specificità delle disposizioni implica che siano comprensibili nella loro portata; la libertà significa che la volontà non deve essere coartata o condizionata; la previa informazione deve essere realizzata dal singolo titolare del trattamento al momento in cui inizia il rapporto con l'interessato. Il divieto di esercizio dei diritti potrà essere totale o parziale e cioè riguardare uno o più diritti. Così l'interessato potrà vietare l'accesso o la cancellazione o anche la rettificazione. Allo stesso modo ci potrà essere il divieto a carico di un soggetto o di una categoria di soggetti. L'interessato ha in ogni momento il diritto di revocare o modificare il divieto.
L'eccezione alla eccezione. L'articolo 2-terdecies citato prosegue disponendo che in ogni caso il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l'esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell'interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi. Il divieto di esercizio dei diritti si annulla quando il terzo ne deve fruire per esigenze di difesa oppure per un diritto patrimoniale derivante dalla morte dell'interessato. La casistica del diritto di difesa è chiara: si deve avere la possibilità di ottenere la cancellazione di testi diffamatori o di ottenere l'accesso a documenti da utilizzare a proprio favore in giudizio. La casistica del diritto patrimoniale derivante dalla morte apre ampie possibilità di superare le ultime volontà digitali. Si deve cominciare a pensare che l'account social o l'archivio di un account di messaggistica è in sé un bene suscettibile di valutazione patrimoniale e/o anche un fascio di rapporti contrattuali idonei a cadere in successione e, quindi, a passare dal defunto al suo erede, legittimo o testamentario.
Il diritto d'autore. Considerando che sui profili social troviamo anche corrispondenza e ritratti, bisogna tenere conto delle disposizioni contenute nella legge sul diritto d'autore (legge 633/1941), che dispone del destino post mortem di corrispondenza, memorie e scritti. Dopo la morte dell'autore o del destinatario occorre il consenso del coniuge e dei figli, o, in loro mancanza, dei genitori; mancando il coniuge, i figli e i genitori, dei fratelli e delle sorelle, e, in loro mancanza, degli ascendenti e dei discendenti diretti fino al quarto grado. Quando le persone indicate siano più e vi sia dissenso, decide l'autorità giudiziaria, sentito il pubblico ministero. Va rispettata, in ogni caso, la volontà del defunto quando risulti da scritto. C'è una eccezione alla regola del consenso: non è necessario quando la conoscenza dello scritto è richiesta ai fini di un giudizio civile o penale o per esigenza di difesa dell'onore o della reputazione personale o familiare.
Fonte: Italia Oggi Sette del 19 novembre 2018 - Articolo di Antonio Ciccia Messina