Rinviato a giudizio carabiniere che rubava dati personali all’Arma e li rivendeva all’investigatore privato
A volte basta la deplorevole condotta di un singolo scellerato per macchiare l’onore e la reputazione degli oltre 100mila carabinieri che prestano fedelmente servizio nell’Arma dei Carabinieri.
Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, la Procura di Milano ha infatti chiesto il rinvio a giudizio di un carabiniere accusato di aver rubato e rivenduto dati delle forze dell’ordine.
Come appurato durante l’inchiesta, il vicebrigadiere incriminato avrebbe svolto 200 mila interrogazioni illecite nei database per almeno tre anni insieme a sua moglie, e di aver incassato da un investigatore privato almeno 134 mila euro, transitati su carte PostePay.
Come spiega il Corriere, il giro riguardava informazioni patrimoniali e c’era anche un tariffario: 250 euro per l’intestatario di due telefoni, 200 per individuare i telefoni associati a un codice fiscale, 350 euro per abbinare le residenze anagrafiche ai codici fiscali.
Secondo l’inchiesta del pm Alessandro Gobbis, i committenti dell’investigatore erano anche le finanziarie e le società di recupero crediti. La procura imputa i reati di corruzione e accesso abusivo a sistema informatico.
“Formaggio arrivato”, era l’espressione in codice per informare che i soldi erano stati versati a retribuire le informazioni. I suoi colleghi dell’Arma, incaricati dai magistrati di svolgere le indagini, non soltanto hanno documentato le prove incrociando i suoi accessi al computer d’ufficio con le localizzazioni dei tabulati del telefono, sequestrando i cellulari del vice brigadiere e ricostruendo i messaggi alquanto espliciti con i correi sulla piattaforma della chat criptata Signal, ma per incastrarlo hanno anche piazzato una telecamera proprio sul computer da lui usato in caserma per gli accessi abusivi.