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La donna costretta a recarsi all’estero per praticare l’aborto terapeutico subisce una violazione della privacy e della vita familiare

La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha stabilito che un tribunale polacco ha violato il diritto di una donna alla vita privata e familiare costringendola a viaggiare all'estero per abortire a causa di un'anomalia fetale.

La CEDU ha stabilito che un tribunale polacco ha violato il diritto di una donna alla vita privata e familiare costringendola a viaggiare all'estero per abortire a causa di un'anomalia fetale.

Nella sua istanza alla CEDU, la ricorrente aveva affermato che nel 2020 si era sottoposta ad esami che avevano rivelato che il suo feto era affetto da trisomia 21, nota anche come sindrome di Down, una condizione cromosomica che comprende vari difetti congeniti e problemi di apprendimento.

Il 26 gennaio 2021, un medico polacco aveva accettato di praticarle un aborto due giorni dopo, dopo aver stabilito che era idonea per farlo ai sensi dell'articolo 4a(1)2 della legge sulla pianificazione familiare del 1993. Tuttavia, il giorno seguente il Tribunale costituzionale polacco aveva emesso una sentenza che prevedeva l’entrata in vigore di un divieto quasi totale di aborto. L'aborto programmato della ricorrente era stato quindi annullato e lei aveva dovuto recarsi nei Paesi Bassi per l'intervento, che le era costato 1.220 euro.

Nel suo parere, la CEDU ha fatto riferimento alla Sezione 31 della legge del 2008 sui diritti dei pazienti che consente a un paziente di opporsi al parere o alla decisione di un medico. Si fa riferimento anche all'articolo 23 del Codice civile polacco, che comprende la tutela dei "diritti personali". In definitiva, la CEDU ha ritenuto che il tribunale polacco abbia violato l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Il punto focale del parere è quello in cui la Corte ha dichiarato che:

“La Corte ricorda di aver precedentemente constatato che la normativa che regola l'interruzione della gravidanza tocca la sfera della vita privata della donna, poiché ogni volta che una donna è incinta, la sua vita privata diventa strettamente connessa con lo sviluppo del feto. Il diritto della donna al rispetto della propria vita privata dovrebbe essere premiato rispetto ad altri diritti e libertà concorrenti invocati, compresi quelli del nascituro”.

La Polonia ha alcune delle leggi sull’aborto più severe dell’UE. Le organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno definito le leggi "contrarie agli standard internazionali ed europei sui diritti umani e alle linee guida sulla salute pubblica".

D’altro canto, nella pronuncia in esame (Caso n. 40119/21) la Corte UE ha richiamato tra i documenti rilevanti l'osservazione generale n. 36 del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani del 30 ottobre 2018 sull'articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici relativo al diritto alla vita dell’ONU, il quale facendo riferimento alle restrizioni sulla capacità delle donne o delle ragazze di chiedere l'aborto, prevede che “non devono, tra l'altro, mettere a repentaglio la loro vita, sottoporle a dolore o sofferenza fisica o mentale che viola l'articolo 7 del Patto, discriminarle o interferire arbitrariamente con la loro privacy”.

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