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La Corte UE obbliga Facebook a rimuovere anche i duplicati dei contenuti illeciti in rete

Una decisione che rimescola le carte, e che apre nuovi fronti nel complesso mondo giurisprudenziale dei social network. La Corte di giustizia europea ha stabilito il 3 ottobre che i singoli Paesi possono costringere Facebook a eliminare i contenuti illegali, incluso quelli che incitano all'odio, sia all'interno dell'Ue che in tutto il mondo.


La decisione (Causa C-18/18) è arrivata dopo che una esponente austriaca del partito dei Verdi, Eva Glawischnig Piesczek, aveva intentato causa contro il social network di Mark Zuckerberg presso l'Alta corte austriaca, chiedendo la rimozione di una serie di commenti diffamatori su di lei a livello globale. L'organo austriaco si era così rivolto alla Corte europea, e quest'ultima ha risposto che nel diritto dell'Ue non vi è nulla che possa impedire ai tribunali nazionali di chiedere a Facebook di cercare ed eliminare post duplicati di contenuti illegali. E che tali misure di rimozione devono essere applicate in tutto il mondo.

Una sentenza per certi aspetti storica, dunque. Che va a sbattere pesantemente contro le tesi di chi sostiene che un Paese non debba avere il diritto di limitare la libera espressione in altri Paesi con regole diverse. A tal proposito, Eline Chivot, analista presso il Center for Data Innovation, ha detto al Financial Times che questa decisione rischia di aprire un vaso di pandora, con le sentenze della Corte europea che possono essere applicate in Paesi che non hanno leggi simili sulla diffamazione o sull'odio.

«Ciò che è proibito in una nazione potrebbe non esserlo in un'altra, anche all'interno dell'Ue e tra i suoi Stati membri. - ha detto Chivot - L'espansione dei divieti di contenuto in tutto il mondo minerà il diritto degli utenti di Internet di accedere alle informazioni e la libertà di espressione in altri Paesi. Questo precedente incoraggerà altri Paesi, compresi quelli con scarso rispetto per la libertà di parola, a fare richieste simili».

La sentenza odierna è di primaria importanza, all'interno del controverso dibattito europeo su quanto le società tecnologiche dovrebbero essere responsabili per i contenuti dei loro utenti. Alcuni Stati membri si sono già mossi. La Germania, per esempio, ha introdotto leggi molto severe relativamente ai contenuti inneggianti l'odio, con le piattaforme tecnologiche soggette a multe pesantissime se incapaci di sorvegliare opportunamente.

L'Unione, invece, per ora è rimasta abbastanza neutrale, anche se si sta discutendo da un po' di tempo di una nuova legge sui servizi digitali che possa chiarire le responsabilità delle piattaforme. Ad oggi, però, i big tecnologici non sono tenuti a monitorare tutti i contenuti postati sulle loro piattaforme, perché le norme attuali esonerano le società dalle responsabilità.

Per la Corte di giustizia europea, tuttavia, lo scenario attuale non impedisce alle piattaforme di sorvegliare attivamente. E per tale ragione, secondo i giudici, gli ordini di rimozione dovrebbero essere applicati in tutto il mondo purché ciò non violi «il diritto internazionale pertinente». Categorico il commento di Nathalie Vandystadt, portavoce della Commissione europea: «La sentenza odierna della Corte di giustizia ha chiarito che nulla, nella direttiva sul commercio elettronico dell'UE, impedisce l'applicazione globale di un ordine giudiziario in tutto il mondo».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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