La privacy non blocca la lotta alla criminalità
La privacy non blocca la lotta alla criminalità. Certo stoppa le schedature di massa, ma la repressione dei reati ammette la conservazione mirata, in base a categorie di persone o per aree geografiche, dei tabulati telefonici e telematici. Lo ha confermato la Corte di Giustizia Ue, che, con la sentenza del 5 aprile 2022, resa nella causa C-140/20, ha ammesso anche la conservazione a tappeto degli indirizzi IP e dei dati identificativi degli utenti che acquistano Sim prepagate e, infine, la conservazione rapida (quick freeze) dei dati relativi al traffico e all'ubicazione.
Il tema è un classico della disciplina della riservatezza e cioè i limiti all'attività di prevenzione e repressione dei reati per evitare lesione al diritto individuale alla riservatezza. In questo quadro i tabulati telefonici e telematici sono un utile strumento di indagine, ma implicano una raccolta di dati molto invasiva, anche a carico delle persone che non delinquono e che non frequentano malavitosi.
In particolare, ci si chiede quando possono essere raccolti e per quanto tempo devono essere conservati i tabulati (data retention). Nel caso della vita che è stato l'occasione della pronuncia in commento una persona è stata uccisa e il soggetto condannato all'ergastolo ha contestato l'ammissibilità come prova dei tabulati delle chiamate telefoniche, in violazione delle disposizioni Ue sulla data retention.
Se è facile (ma anche sterile) declamare che la privacy delle persone per bene non deve essere strumentalizzata dal criminale per coprire i suoi reati e che le esigenze investigative non devono essere un pretesto per controlli antidemocratici, non altrettanto facile è stilare le regole concrete del bilanciamento dei diversi interessi.
Ci prova, nei termini seguenti, la Corte di Giustizia. Innanzi tutto è illegittima una legge che preveda, per finalità di lotta ai reati gravi, a titolo preventivo, la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati di traffico e ubicazione afferenti alle comunicazioni elettroniche.
Questo punto, peraltro, è anche il più ovvio: stop a schedature di massa conservate senza data di scadenza. Le autorità non possono fare tutto in nome della lotta alla criminalità grave e, anzi, devono rispettare il principio di proporzionalità. Passando agli altri termini del bilanciamento, la Corte afferma che non è illegittima, purché proporzionata, ai fini della lotta alle forme gravi di criminalità e della prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica.
(Nella foto: Antonio Ciccia Messina, autore del manuale di autodifesa per Data Protection Officer)
La conservazione mirata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all'ubicazione in funzione delle categorie di persone interessate o mediante un criterio geografico. Sono anche ammissibili: la conservazione generalizzata e indifferenziata degli indirizzi IP attribuiti all'origine di una connessione; la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi all'identità civile degli utenti di mezzi di comunicazione elettronica, e la conservazione rapida (quick freeze) dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all'ubicazione di cui tali fornitori di servizi dispongono.
La questione discussa dalla Corte Ue ha rilevanza anche per l'Italia a riguardo dei termini di conservazione. L'articolo 132 del Codice privacy ha, infatti, stabilito il termine di 30 giorni per la conservazione dei dati relativi alle chiamate senza risposta, di 24 mesi per i dati relativi al traffico telefonico e di 12 mesi per i dati del traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni. Peraltro, la legge 167/2017 ha allungato questi termini fino a 72 mesi.
di Antonio Ciccia Messina (Italia Oggi del 6 aprile 2022)