È whistleblower o uno spione?
La storia è piena di traditori, per avidità o per amor di patria, per ambizione o per vendetta, per fanatismo o per viltà, per mille ragioni e per mille passioni. Ma chi è il traditore? Che sia chi infrange un giuramento, o incrina il patto che unisce una comunità, pare abbastanza ovvio.
Per non parlare degli adulteri nella sfera privata, l'attributo di traditore è stato dato a rivoluzionari e voltagabbana, apostati ed eretici, convertiti e rinnegati, ammutinati e disertori, spie e collaborazionisti, ribelli e terroristi, pentiti e crumiri.
Eppure, se osserviamo il tradimento nelle diverse epoche, la percezione che ne hanno avuto contemporanei e posteri è molto più mutevole di quanto non dicano le formalizzazioni giuridiche.
Prendiamo il caso della sedicente professoressa che ha fornito a Report il video dell'incontro tra Matteo Renzi e un dirigente dei Servizi segreti; o, per parlare di cose più serie, del funzionario (qualcuno forse lo ricorderà) che ha rivelato i contenuti del colloquio telefonico tra Donald Trump e il leader ucraino Volodimir Zelenskij, mettendo nei guai l'ex presidente americano. Secondo il predecessore di Joe Biden era un traditore, per i suoi avversari era invece un whistleblower.
Ma chi è il whistleblower? In inglese indica una persona che lavorando all'interno di un'organizzazione, di un'azienda pubblica o privata, si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività; e che decide di segnalarlo all'interno dell'azienda stessa o all'autorità giudiziaria o all'attenzione dei media, per porre fine a quel comportamento.
La scelta di denunciare irregolarità e comportamenti illegali riscontrati sul luogo di lavoro comporta spesso, a tutte le latitudini, ritorsioni e conseguenze negative per chi denuncia. Soprattutto nei paesi di cultura anglosassone si è dunque profilata la necessità di legiferare a tutela di queste persone.
Negli Stati Uniti, un precedente legislativo risale addirittura al 1863: si tratta del False Claim Act o «Legge Lincoln», che prevedeva una ricompensa per chi denunciava frodi ai danni del governo federale.
Nel 1989 viene varato il Whistleblower Protection Act, il quale sanzionava le istituzioni, aziende o agenzie che adottavano provvedimenti punitivi nei confronti di chi denunciava le loro malefatte. Ma è nel Regno Unito che è stata elaborata e approvata la legge forse più estesa e completa in materia: il Public Interest Disclosure Act (1998).
(Nella foto: Michele Magno, studioso di questioni sociali e del lavoro, è stato dirigente della CGIL)
Il whistleblower è una figura che conquista letteralmente la scena internazionale nel 2013, quando il Guardian svela l'identità della fonte che gli ha fornito la documentazione che accusa le autorità statunitensi e britanniche di aver predisposto programmi di sorveglianza elettronica di massa. È il più grande scandalo -verrà chiamato Datagate- relativo all'intrusione della politica nella privacy dei cittadini. Edward Snowden, come era avvenuto per un caso diverso ma dagli aspetti simili, quello di Julian Assange e di WikiLeaks, viene considerato da una parte dell'opinione pubblica democratica come una specie di eroe, mentre per numerosi deputati e senatori del Congresso Usa è un abietto delatore che ha attentato alla sicurezza nazionale.
In realtà, quarant'anni prima Ralph Nader, un avvocato americano molto attivo nella difesa dei diritti dei consumatori, aveva usato il termine «whistleblower» proprio in opposizione a quello di «traitor», ovvero come sinonimo dell'impegno civile e etico del cittadino probo e onesto. E in questa accezione verrà registrato nel 1986 dall'Oxford English Dictionary. Suscitano pertanto qualche perplessità i giornali italiani quando traducono il termine whistleblower con «spia», «delatore», «talpa». Infatti, veicolano impropri significati negativi di segretezza e anonimato legati esclusivamente a slealtà e a meschini calcoli di tornaconto personale.
di Michele Magno (Italia Oggi del 12 maggio 2021)