Green Pass, non si tratta di scegliere tra privacy e libertà di movimento
“Meno privacy ma più libertà” è la sintesi giornalistica del dibattito di questi giorni attorno al tema delle certificazioni verdi, la ricetta del governo italiano – nel solco, peraltro, di quella già annunciata dalle Istituzioni europee – per consentire la progressiva riapertura del Paese. Una sintesi, autorevolmente, fatta sua anche dal presidente della Corte Costituzionale Giancarlo Coraggio e una sintesi che sostanzialmente suggerisce ai cittadini che si tratti di scegliere se rinunciare a un po’ della propria privacy per riconquistare – o almeno riconquistare prima – un po’ della propria libertà di movimento specie in vista dell’arrivo dell’estate e delle vacanze.
Si facesse un referendum, con un quesito posto in questi termini, il risultato, sarebbe scontato e plebiscitario: tutti o quasi sarebbero disponibili e, anzi, probabilmente, felici di rinunciare alla loro privacy in cambio di un po’ di sana normalità della quale avvertiamo tutti uno straordinario bisogno.
Ma siamo certi che quel quesito referendario sarebbe posto correttamente?
Serve davvero rinunciare alla privacy per imboccare la strada delle certificazioni verdi?
La risposta alla domanda è negativa e, in effetti, è messa nera su bianco nel provvedimento con il quale il Garante per la protezione dei dati personali nelle scorse settimane ha avvertito il governo della potenziale illegittimità dei trattamenti di dati personali realizzati sulla base del Decreto Legge con il quale sono stati introdotti nel nostro Ordinamento le certificazioni verdi.
In quell’occasione non si è detto al governo che la privacy impedisce la realizzazione del progetto ma più semplicemente che il progetto delle certificazioni verdi deve essere realizzato senza chiedere inutilmente ai cittadini di rinunciare alla loro privacy per tornare a spostarsi più liberamente.
Nessuna esigenza di rinunciare alla sacrosanta libertà di movimento in nome della privacy ma semplicemente l’esigenza di fare in modo – tanto più che oggi le tecnologie lo consentono – di fare in modo di contemperare due diritti pari ordinati e di non imporre ai cittadini di scegliere di rinunciare a un po’ dell’uno, in vista dell’esercizio di un po’ dell’altro.
E, infatti, a prescindere dalla necessità – che è garanzia di libertà prevista nelle regola europee – che la legge con la quale si lancia nel Paese un trattamento di dati sanitari di milioni di cittadini preveda in maniera puntuale chi fa cosa, perché e per quali finalità con i nostri dati personali, il Garante, nel suo provvedimento, ha semplicemente segnalato al Governo che sul certificato verde dovrebbe essere riportata solo l’informazione sintetica relativa alla circostanza che il cittadino si trovi in una qualsiasi delle condizioni – identificate dallo stesso governo – che gli consentono di muoversi liberamente con un rischio di contagio limitato per sé e per gli altri.
In un sistema come quello disegnato dal governo nel quale essere vaccinati, aver sviluppato gli anti-corpi a seguito di contagio e guarigione o aver fatto un test sono condizioni equivalenti di presunta immunità, infatti, non serve che le decine di migliaia di persone che ci chiederanno l’esibizione della certificazione verde sappiano se abbiamo fatto il vaccino, quale vaccino, quando o se abbiamo avuto il Covid o fatto un tampone.
Tutto qui.
(Nella foto: Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali)
Sarebbe sufficiente disegnare in maniera diversa da come ipotizzato sin qui le certificazioni verdi e non sarebbe necessario chiedere a nessun cittadino di rinunciare a un po’ della propria privacy, in cambio di un po’ della propria libertà di movimento.
Non c’è nessun antagonismo tra la privacy e la libertà di movimento nel caso delle certificazioni verdi o, almeno, è enormemente attenuato rispetto a come continua a essere rappresentato nella dimensione politica e in quella mediatica.
E – e questo è l’aspetto più importante che travalica i confini di questa vicenda – in democrazia, uno Stato moderno e civile non dovrebbe mai mettere un cittadino davanti all’esigenza di scegliere tra due diritti fondamentali se può evitarlo semplicemente progettando e sviluppando in modo diverso un’iniziativa perché i cittadini hanno, innanzitutto, il diritto a non dover scegliere tra due diritti che appartengono loro con eguale intensità.
È davvero un peccato che di questa questione continui a discutersi muovendo da un tanto grossolano errore di prospettiva perché questo sta determinando la divisione del Paese, a ogni livello, tra contrapposte tifoserie che sventolano bandiere con su scritto il nome di diritti che trovano posto l’uno accanto all’altro nella Carta Fondamentale dei diritti dell’Unione europea e nella nostra Costituzionale e che non sono e no. Hanno ragione di essere rivali.
di Guido Scorza (Fonte: Huffingtonpost)