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Videconferenze non sicure a rischio di "Zoom-bombing"

In questo periodo di emergenza da Covid-19, Zoom è diventata in pochissimo tempo una delle app per videochiamate più usate al mondo, ed è utilizzata anche da molti insegnanti per tenere videolezioni in diretta, e da enti ed aziende per fare riunioni di lavoro o d’altro genere. Parallelamente alla sua grande diffusione, è emerso però il cosiddetto fenomeno dello “Zoom-bombing”, ovvero la pratica di certi disturbatori che interrompono videolezioni e riunioni con messaggi volgari o anche video pornografici, razzisti e offensivi.

Per consentire l’accesso ad una videochiamata su Zoom l’organizzatore deve fornire ai partecipanti un link, e se questo è conosciuto da pochi colleghi o amici e diffuso per mail o messaggio privato non ci sono generalmente rischi, tuttavia se il link viene invece diffuso su un social network o su altri siti web possono allora arrivare gli intrusi.

Negli Stati Uniti l’FBI ha ricevuto così tante segnalazioni di episodi di Zoombombing da aver diffuso un comunicato per avvisare del problema e invitare gli utenti chi ne sono stati vittima a farne denuncia.

Trai numerosi casi, il New York Times ha riferito di una videoconferenza di musulmani in cui un intruso ha improvvisamente cominciato a scrivere un insulto razzista su una delle slide condivise tra i partecipanti, dopodiché l’infiltrato ha condiviso il suo schermo mostrando un video pornografico e ripetendo l’insulto razzista ad alta voce.

Questo tipo di preoccupanti aggressioni vengono addirittura fomentate su alcuni social network e app di messaggistica dove i malintenzionati diffondono i codici di accesso di incontri e lezioni su Zoom che sono stati resi pubblici dagli stessi organizzatori senza immaginarne le possibili conseguenze negative.

In alcuni casi gli autori di tali bravate sono adolescenti costretti a stare in casa che danno sfogo alla noia per ribellarsi a modo loro all’isolamento forzato, ma in molte altre situazioni gli Zoombombing sono veri e propri gruppi organizzati di adulti estremisti o hater che pianificano gli attacchi per seminare lo scompiglio in riunioni politiche, filosofiche o religiose di cui non condividono gli ideali.

Per contrastare questi spiacevoli inconvenienti, è consigliabile quindi tutelare la privacy e adottare adeguate misure di sicurezza sulle videoconferenze che si devono organizzare su Zoom, impostando una password da comunicare solo alla ristretta cerchia di persone che vi devono partecipare con una specifica raccomandazione a non divulgarla, oppure attivare la funzione di sala d’attesa virtuale, che permette a un moderatore di vagliare gli utenti prima di ammetterli alla videoconferenza. E ovviamente quella di condividere su social network e siti pubblici i link di accesso a videoconferenze e webinar per invitare le persone a parteciparvi liberamente è una pratica da evitare se non si vuole rischiare di trovarsi a sgradite sorprese.

Note Autore

Nicola Bernardi Nicola Bernardi

Presidente di Federprivacy. Consulente del Lavoro. Consulente in materia di protezione dati personali e Privacy Officer certificato TÜV Italia, Of Counsel Ict Legal Consulting, Lead Auditor ISO/IEC 27001:2013 per i Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni. Twitter: @Nicola_Bernardi

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