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Scontro tra Titani a San Marino. “Who’s this Italian? Non possiamo bannarla e basta?” Questa è la domanda che Mark Zuckerberg, il magnate del web, per allentare la tensione pare abbia rivolto al suo agguerrito pool di avvocati sul giudice che dovrà pronunciarsi sul futuro del suo impero social. Trattasi di Valeria Pierfelici, magistrato dalla lunga esperienza, 61 anni, attualmente in servizio al Tribunale della Repubblica di San Marino nonché docente di diritto civile e diritto commerciale, con specializzazione anche a Strasburgo.

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Se fino a qualche anno fa poteva piacere l’idea di usare il pulsante ideato da Facebook per accedere ad altri siti web tramite il proprio profilo social, a quanto pare adesso gli utenti non si fidano più ciecamente della piattaforma di Mark Zuckerberg come in passato, e piuttosto che usare quella scorciatoia preferiscono registrarsi creando un nuovo account sul sito in cui devono fare acquisti online, motivo per cui ci sono sempre più grandi aziende che vendono su Internet che decidono di rimuovere tale opzione dai loro siti, a partire dalla statunitense Dell, che è tra le più importanti multinazionali a livello globale nella produzione di personal computer con un fatturato annuo da 26 miliardi di dollari.

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Il fatto che due persone siano “amiche” su Facebook e abbiano pubblicato sullo stesso social delle fotografie che le ritraggono insieme non costituisce prova di una commensalità abituale. Così si è espresso il Consiglio di Stato (sentenza 2849/2022 della settima sezione) recependo integralmente il ragionamento svolto dal Tar Sardegna.

Ennesima multa per Meta per violazione della privacy, ma stavolta l'importo è senza precedenti: ammona infatti a 1,2 miliardi di euro la sanzione annunciata dallo European Data Protection Board. Già l’agenzia Reuters nei giorni scorsi aveva riferito che il colosso di Menlo Park stava per essere sanzionato per aver trasferito i dati degli utenti cittadini dell’Unione europea ai server statunitensi senza rispettare il GDPR, ma ora il provvedimento è stato ufficialmente reso noto.

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Privacy International, organizzazione non profit con sede nel Regno Unito, ha scoperto che alcune app utilizzate per monitorare il ciclo mestruale, nonché i sintomi correlati, gli sbalzi di umore, e anche informazioni relative ad attività sessuali e periodi di maggiore fertilità, inviano i dati sensibili di milioni di donne che le utilizzano direttamente a Facebook.

Privacy International, l'ente londinese che si batte per una maggiore privacy degli utenti, ha scoperto che molte applicazioni per cellulari, che usano il sistema operativo Android, inviano i dati personali a Facebook senza il permesso degli utenti. Non un fatto da poco.

Un tribunale australiano ha sanzionato Meta Platforms, società proprietaria di Facebook, per un totale di 20 milioni di dollari australiani (paria a circa 12,2 milioni di euro) per aver raccolto i dati personali degli utenti attraverso un'applicazione per smartphone pubblicizzata come una soluzione per proteggere la privacy, senza rivelare chiaramente le sue effettive finalità.

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A poco più di una settimana dall’attacco hacker che ha colpito Facebook e messo a rischio almeno 50 milioni di profili, i dati frutto di quel bottino sono già in vendita sul dark web e a prezzi bassi. A fare la scoperta il sito The Independent, che ha notato nei mercati sotterranei del web – una parte di Internet accessibile solo con determinati software – annunci che offrono agli acquirenti i dati personali degli utenti di Facebook per un minimo di 3 dollari.

Ad anni di distanza il caso Cambridge Analytica torna a far tremare Facebook. Il colosso di Mark Zuckeberg è stato citato in giudizio dal Governo australiano per la violazioni delle legge nazionali legate alla privacy, con una richiesta di risarcimento che potrebbe arrivare fino a 529 miliardi di dollari.

Trattamento illecito di dati personali e diffamazione aggravata per aver messo in vendita online un catalogo di (ignare) donne single di quel ramo del lago di Como. Il Tribunale di Lecco ha depositato le motivazioni della condanna - 1 anno e sei mesi, oltre ai risarcimenti civilistici in separata sede -al fantasioso “editore” che quattro anni fa aveva creato fama non cercata e problemi relazionali a 1218 donne di ogni età, finite loro malgrado in un catalogo tratto da Facebook «che costa meno di un aperitivo».

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