Aveva messo in vendita online un catalogo di 1.218 ignare donne single tratto da Facebook, condannato dal Tribunale di Lecco
Trattamento illecito di dati personali e diffamazione aggravata per aver messo in vendita online un catalogo di (ignare) donne single di quel ramo del lago di Como. Il Tribunale di Lecco ha depositato le motivazioni della condanna - 1 anno e sei mesi, oltre ai risarcimenti civilistici in separata sede -al fantasioso “editore” che quattro anni fa aveva creato fama non cercata e problemi relazionali a 1218 donne di ogni età, finite loro malgrado in un catalogo tratto da Facebook «che costa meno di un aperitivo».
L’uomo, 58enne calabrese residente a Lecco, schermandosi dietro a un impegnato circolo culturale editore, e con i pagamenti raccolti da una società del North Carolina, aveva messo in vendita a 7 euro una raccolta massiva di dati e immagini personali di donne di ogni età e taglio sociale, dalla quindicenne liceale alla pensionata alla vedova, passando per sindacaliste, impiegate di autorevoli amministrazioni pubbliche, ordinarie e impegnate mogli. Il tutto, parte di un progetto che debuttava nel febbraio 2017 a Lecco ma con diramazioni già pronte per Monza per poi spiccare il volo «in ogni città italiana e internazionale».
La balzana iniziativa era stata resa possibile da una funzionalità del social network che all’epoca consentiva di estrarre dati aggregati tramite semplici ricerche. L’”editore” aveva poi copiato i dati su un file word, trasferiti in Pdf e messi infine in vendita con l’ammiccante foto manzoniana tratta dal profilo di una delle mille malcapitate.
Secondo il giudice, il fatto che i dati personali fossero già in un certo senso pubblici - in quanto comunicati e riportati sulla bacheca di Fb - non esclude l’illiceità del trattamento, del tutto estraneo alla finalità per le quali era stato in origine richiesto (e tra l’altro da Fb, non dal promotore culturale finito imputato a processo).
Oltre al diritto alla privacy, argomenta il giudice di merito, ogni titolare ha la legittima aspettativa che i suoi dati, quandanche usciti dalla propria disponibilità, vengano trattati in modo lecito e coerente. Coerenza del tutto assente nel catalogo delle single manzoniane (venduto in 30 copie, ma replicato “x” volte via mail e chat) anche alla luce del secondo capo di condanna, la diffamazione aggravata mediante altre forme di pubblicità (il social network).
Per il magistrato, anche alla luce delle dolorose testimonianze delle donne offese, non v’è dubbio circa le modalità equivoche della proposizione al pubblico delle malcapitate, che si trovarono poi al centro di strane offerte di amicizia quando non della solita aggressione di oscuri “tastieristi”. L’editore è stato condannato anche per aver richiesto documenti anagrafici ai Comuni spacciandosi per avvocato, un ignaro professionista siciliano per il quale aveva lavorato anni prima.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 6 settembre 2021