Violazione di segreti industriali, maxi condanna per l'ex manager
Manager condannato a risarcire 4,5 milioni di euro alla società - una multinazionale tedesca - di cui era stato “ad” e dipendente. Interessante sentenza del tribunale di Ancona - sezione specializzata in materia di impresa - in tema di violazione di segreti industriali, sia per il metodo di calcolo del danno, sia per le ulteriori prescrizioni contro il convenuto (tra cui 100mila euro di penale per ogni violazione dell’inibitoria). I fatti di causa, che verosimilmente occuperanno l’autorità giudiziaria per altri gradi, risalivano al 2012, dopo che l’amministratore della collegata italiana aveva lasciato la multinazionale.
Contemporaneamente la società aveva avuto notizia di movimenti dell’ex dipendente nei mercati dell’Est asiatico, con il forte sospetto (anche documentale) di utilizzo di formule chimiche aziendali oggetto di tutela e a beneficio di società già clienti. Ne era seguita una perquisizione al domicilio dell’ex dipendente con sequestro di numerosi documenti “sensibili” che, a termini contrattuali, avrebbero dovuto essere restituiti da tempo.
Secondo i giudici lo sfruttamento abusivo dei dati tecnici riservati, mostra da parte dell’ex manager «l’intento parassitario di risparmiare sui costi e sui tempi per l’immediato avvio dell’attività, successiva alla sua uscita, in concorrenza con la medesima, e in specifica violazione di segreti tecnici e commerciali».
Per il tribunale «il regime di leale concorrenza viene violato anche se si risparmia, con la sottrazione o utilizzazione di dati riservati, in termini di tempi e costi per una autonoma ricostruzione delle informazioni industriali necessarie o utili, con il conseguente compimento di atti concorrenziali sleali, in relazione a ogni acquisizione avvenuta per sottrazione e non per autonoma capacità di elaborazione».
Nessun dubbio, infatti, che le informazioni segrete costituenti il know how di una impresa, frutto della ricerca e degli investimenti, sono a pieno titolo «diritti di proprietà industriale, pienamente tutelabili». Quanto alle modalità di calcolo del maxi risarcimento, i giudici hanno avuto riguardo al lucro cessante della parte danneggiata, che può essere determinato «in una somma pari alle cosiddette royalties che le parti avrebbero ragionevolmente concordato, in caso di acquisizione del diritto di sfruttamento del know how», e non invece in riferimento delle cifre appostate in bilancio per l’intangible.
Secondo la società, rappresentata a giudizio da Dla Piper «risultato importante che rende giustizia a chi investe in ricerca e nella protezione del know-how, e che testimonia l’attenzione crescente dell’autorità giudiziaria alla proprietà intellettuale».
Fonte: Il Sole 24 Ore del 6 agosto 2019