NEWS

Lo smart working della 'Fase-2' stretto tra privacy e controlli a distanza

Conciliare lo smart working con la privacy dei lavoratori e con la sicurezza dei dati trattati fuori ufficio, sia aziendali, sia delle amministrazioni pubbliche. Sarà una delle sfide dei prossimi mesi, dato il prolungamento dello stato di emergenza legato al Covid-19. Dopo i graduali rientri nelle sedi di lavoro avvenuti da maggio in poi, infatti, l’aggravarsi della situazione epidemiologica porterà a un ritorno su più ampia scala del lavoro da remoto, in chiave anti-contagio. La modalità semplificata di ricorso al lavoro agile (senza l’accordo individuale con i lavoratori) è stata prorogata intanto fino al 31 dicembre.

Con il Covid-19 aumenta lo smart working ma occorre rispettare la privacy dei dipendenti

Si fanno largo, poi, ipotesi di nuovi interventi normativi sulla materia. Tra i 22 disegni di legge che saranno collegati alla manovra di bilancio per il 2021 - secondo la Nota di aggiornamento al Def 2020 - c’è un Ddl intitolato «Disposizioni in materia di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni». Dalle prime informazioni emerse, tra i punti centrali della riforma ci saranno il diritto del lavoratore alla disconnessione e il potenziamento della formazione digitale dei lavoratori della Pa.

Peraltro, stando al Dl Rilancio, la prospettiva per la Pubblica amministrazione è quella di arrivare, dal 2021, al 60% dei dipendenti coinvolti dallo smart working, almeno per le attività che possono essere svolte con questa modalità. Sperando che al Pa si attrezzi e che si pesino bene le conseguenze, ora non certo positive per imprese e utenti (si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 5 ottobre).

I controlli a distanza - Con la trasformazione digitale del lavoro le occasioni di controllo a distanza dei lavoratori si stanno moltiplicando all’infinito. Ogni nuova tecnologia che agevola le comunicazioni e può migliorare la qualità del lavoro nasconde, infatti, alcuni rilevanti problemi applicativi, che nascono dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

I mesi di forzato “lavoro casalingo” hanno fatto dimenticare che questa disposizione pone dei paletti precisi per l’uso delle nuove tecnologie. La norma vieta, infatti, l’uso di ogni strumento che consenta il controllo a distanza dei lavoratori, facendo limitate eccezioni per gli «strumenti di lavoro» (nozione introdotta dal Jobs Act e ancora molto controversa) e gli apparecchi il cui utilizzo sia stato autorizzato da un accordo sindacale o, in mancanza, da un provvedimento dell’Ispettorato del Lavoro. In questo contesto restrittivo, molti strumenti normalmente usati dalle aziende per gestire la prestazione lavorativa rischiano di entrare in conflitto con l’impostazione della norma.

Gli strumenti sotto esame - Pensiamo, ad esempio, al più comune degli strumenti, la video chiamata, diventata ormai il mezzo più comune di gestione della prestazione lavorativa per chi opera in smart working. Secondo l’articolo 4 dello Statuto, l’uso può essere legittimo solo se è fatta rientrare nella nozione di «strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa», unica categoria per la quale non è richiesta la stipula dell’accordo sindacale o l’attivazione del meccanismo alternativo di autorizzazione amministrativa. Sarebbe una lettura del tutto equilibrata, ma più volte gli organi di vigilanza hanno manifestato un approccio molto più restrittivo alla nozione di strumenti di lavoro.

Un altro sistema che ha forti potenzialità di controllo è il meccanismo, presente ormai su qualsiasi software aziendale, che avvisa con un “semaforo” di colore verde, giallo o rosso sulla presenza davanti al Pc e sul collegamento alla rete aziendale di un lavoratore. Anche questo software è di uso comune ma può entrare in forte conflitto con l’impianto dell’articolo 4, essendo fuori di dubbio che genera un «controllo a distanza».

Meno problemi da questo punto di vista sembra creare l’uso delle chat di whatsapp per scopi lavorativi: pur essendo questi strumenti potenzialmente molto invasivi, non sembra esserci quella forma di «controllo a distanza» in grado di far scattare la tagliola dell’articolo 4.

Un capitolo a parte lo meritano, poi, le wereable technologies: occhiali con Gps, braccialetti intelligenti, capi di abbigliamento interattivi entrano ogni giorno di più nella vita dell’azienda, offrendo grandi opportunità di migliorare la qualità del lavoro. Queste opportunità generano tuttavia forme importanti di controllo, per le quali sembra difficile ricorrere alla nozione di «strumenti di lavoro» (anche se la valutazione va fatta caso per caso).

Sarebbe dunque utile che le imprese identificassero le aree dove c’è un concreto “rischio di controllo” e le gestissero secondo il percorso previsto dalla legge. Sarebbe anche opportuno procedere sempre alla stipula di un accordo sindacale, o, in mancanza, alla richiesta di una autorizzazione amministrativa, per tutti gli strumenti ordinari, così come sarebbe consigliabile identificare all’interno di questi accordi o autorizzazioni quali sono gli «strumenti di lavoro» indispensabili allo svolgimento della prestazione (utilizzabili senza accordo).

Fonte: Il Sole 24 Ore del 12 ottobre 2020

Note Autore

Federprivacy Federprivacy

Federprivacy è la principale associazione di riferimento in Italia dei professionisti della privacy e della protezione dei dati personali, iscritta presso il Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi della Legge 4/2013. Email: [email protected] 

Prev Dai giudici della Corte di Giustizia Ue un vademecum sul bilanciamento tra sicurezza e privacy
Next Tribunale di Siena: definire 'fregatura' la prestazione di un professionista su Google My Business non è diffamazione

Arezzo TV, lo speciale dedicato al Privacy Day Forum 2024

Mappa dell'Italia Puglia Molise Campania Abruzzo Marche Lazio Umbria Basilicata Toscana Emilia Romagna Calabria

Rimani aggiornato gratuitamente con la nostra newsletter settimanale
Ho letto l'Informativa Privacy