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Tribunale di Siena: definire 'fregatura' la prestazione di un professionista su Google My Business non è diffamazione

Le recensioni online di professionisti e imprese finiscono sempre più spesso sotto la lente dei giudici e delle autorità di controllo. Sotto accusa le critiche false, esagerate o tendenziose che possono integrare ipotesi di diffamazione aggravata, truffa o concorrenza sleale. Mentre Amazon il mese scorso ha cancellato oltre 20 mila false recensioni scritte in cambio di denaro e finite al centro di un’inchiesta ai suoi danni nel Regno Unito, in Italia le cose non vanno meglio. Truffe, diffamazioni, concorrenze sleali stanno diventando un problema e un costo anche per i professionisti.

Sotto la lente dei giudici è finito anche il servizio Google My Business per diffamazione online

La diffamazione online - Diciamolo subito: la censura non c’entra. Capire se una recensione è legittima oppure va cancellata è questione di bilanciamento tra due diritti contrapposti. Da un lato quello alla reputazione del professionista, che rappresenta un diritto soggettivo perfetto, quale espressione della dignità sociale dell’individuo, riconosciuta dall’articolo 2 della Costituzione; dall’altro il diritto alla libera manifestazione del pensiero sancito dall’articolo 21 della Costituzione.

Per la giurisprudenza il limite è travalicato quando la recensione costituisce occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni morali. Se la recensione non può essere rigorosamente obiettiva ed asettica, deve però rimanere nei limiti di un motivato dissenso.

Per i tribunali il linguaggio può essere colorito e pungente, ma non deve mai trascendere in affermazioni ingiuriose e denigratorie o in attacchi puramente offensivi. Nei casi già affrontati relativi a ristoranti o alberghi, vanno bene ad esempio commenti sulle dimensioni dei locali, sul ritardo nella consegna dei piatti o sulla scarsa cortesia dei personale. A fare la differenza, oltre alla verità se non oggettiva almeno putativa di quanto affermato, anche la continenza espressiva, ossia l’uso di un linguaggio equilibrato che non leda l’integrità morale del destinatario.

La truffa - Il Tribunale di Lecce il 12 settembre 2018 ha condannato per truffa e sostituzione di persona a nove mesi di carcere, senza sospensione condizionale della pena, oltre al pagamento di 8 mila euro tra danni e spese legali in favore di Tripadvisor, il titolare di un’azienda che aveva utilizzato false identità per pubblicare false recensioni in cambio di denaro.

La concorrenza sleale - Se la recensione offensiva è scritta da un competitor livoroso può scattare anche la concorrenza sleale.

È successo a Venezia dove con un ricorso d’urgenza un ristorante è riuscito a farsi cancellare direttamente dal portale che la ospitava la recensione di un falso avventore che lo aveva apostrofato come «sporco, caro e maleducato» (Tribunale di Venezia, ordinanza del 24 febbraio 2015).

La piattaforma ospite - Se la piattaforma viene messa a conoscenza dell’avvenuta pubblicazione di una recensione illecita, ha l’obbligo giuridico di attivarsi. Se non lo fa, scatta la sua responsabilità civile. Lo prevede l’articolo 16 del Dlgs 70/2003. È quindi opportuno che il professionista destinatario di una recensione negativa trasmetta anche alla piattaforma la richiesta di cancellazione. Se nessuno risponde o se la piattaforma rifiuta di intervenire, egli può agire in sede civile anche direttamente contro il sito.

Il caso Google My Business - Sotto la lente dei giudici è finito anche il servizio Google My Business che aggrega i dati di professionisti e imprese, creando di fatto un “mini sito” sul quale vengono pubblicati orari di apertura, fotografie, ma anche le recensioni dei clienti. Per il Tribunale di Siena , con la sentenza n. 285 dello scorso 20 marzo, «la presenza di recensioni negative è uno dei pericoli cui il professionista va incontro nel momento in cui inserisce il suo profilo professionale in una piattaforma internet, come Gmail My Business (così nel testo, ndr)». Ha poi ritenuto che definire come “fregatura” la prestazione di un professionista non sia diffamatorio perché si tratterebbe di un’espressione che denota insoddisfazione ma non si tradurrebbe in un attacco «gratuitamente degradante».

Eppure sono in molti tra i professionisti a sostenere che Google My Business aggreghi i dati anche senza il consenso dell’interessato, creando automaticamente lo spazio per le recensioni, dal quale non sarebbe possibile cancellarsi se non facendo comparire la dicitura che «l’attività è cessata». Qui entrano in gioco profili legati alla privacy e all’applicazione del Regolamento Ue 2016/679 (Gdpr), almeno per gli utenti europei.

La partita questa volta si giocherà davanti al Garante per la protezione dei dati personali.

Note Autore

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Federprivacy è la principale associazione di riferimento in Italia dei professionisti della privacy e della protezione dei dati personali, iscritta presso il Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi della Legge 4/2013. Email: [email protected] 

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