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Per proteggere dati personali da condotte pregiudizievoli le associazioni di tutela dei consumatori possono esercitare azioni rappresentative. Questo, secondo la Corte giustizia dell'Unione europea Causa C-319/20, anche indipendentemente dalla violazione concreta del diritto alla privacy di un interessato e senza mandato specifico.

Le azioni collettive raddoppiano, ma sono ancora ferme ai nastri di partenza. La partenza stimata della class action (articolo 840-bis del codice di procedura civile) è il 19 maggio 2021 (se sarà pronta la piattaforma ministeriale per raccogliere le adesioni degli interessati), ma entro il 25 dicembre 2022 deve essere recepita la direttiva Ue 2020/1828 sull'azione rappresentativa (operativa dal 25 giugno 2023).

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Azioni rappresentative, con un finanziatore esterno, senza spese per i consumatori, in grado di accorpare i contenziosi e farli diventare costo di impresa. È il profilo dell'azione rappresentativa, istituita dalla Direttiva UE 2020/1828 del 25 novembre 2020 relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, che abroga la direttiva 2009/22/Ce.

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Via libera alle azioni in rappresentanza degli interessati per violazioni della privacy. Si possono fare anche se l'impresa o la pubblica amministrazione (cioè i cosiddetti titolari del trattamento) non forniscono le informative sul trattamento dei dati. Così ha deciso la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza dell'11 luglio 2024, resa nella causa C 757/22, che ha coinvolto Meta.

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Classe action contro Google da almeno 5 miliardi di dollari. L’accusa rivolta al colosso del web è quella di tenere traccia dell’attività internet degli utenti anche mentre utilizzano la modalità di navigazione in incognito, operando quindi in modo ingannevole nei confronti di milioni di utenti del suo browser Chrome, e violando così la loro privacy.

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La protezione dei dati mette nei guai Google. Una class action, intentata da un gruppo denominato “Google You Owe Us” (guidato dall' ex regista Richard Lloyd), sta portando Big G in tribunale nel Regno Unito. E se l'azione legale avrà successo, il gigante di Mountain View potrebbe vedersi costretto a pagare un indennizzo a circa di 5,4 milioni di cittadini britannici, con cifre stimate in diverse centinaia di sterline per ogni utente coinvolto.

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Il Codacons ha denunciato WhastApp al Garante per la Privacy, chiedendo all’autorità di inibire comportamenti lesivi dei diritti degli utenti e di ordinare all’azienda di conformarsi alle disposizioni europee in tema di privacy. Al centro dell’esposto dell’associazione, l’impossibilità di disattivare la funzione di backup delle chat dall’applicazione WhatsApp negli smartphone con sistema operativo Android.

Nuovi guai in vista per Google. Una marea di utenti iPhone - ben 4,4 milioni - nel Regno Unito hanno dichiarato una guerra legale al gigante di Mountain View per la raccolta di dati personali ai fini di tracciamento e confronto. La causa potrebbe costare a Google fino a 4,3 miliardi di dollari (pari a 3,65 miliardi di euro).

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ByteDance, società proprietaria di TikTok, ha chiuso dopo oltre un anno una class action negli Stati Uniti per violazione delle norme sulla privacy. ByteDance ha accettato di pagare 92 milioni di dollari per porre fine al contenzioso, anche se la celebre piattaforma social si è sempre dichiarata innocente ed ha respinto tutte le accuse.

Almeno 345 dollari di rimborso per utente: tanto è la somma pattuita per chiudere la class action avviata negli Usa a seguito delle accuse contro Facebook relative alla conservazione di dati biometrici per una funzione di tagging delle foto basata sul riconoscimento facciale senza preavviso o consenso, funzione poi disabilitata dalla società di Mark Zuckerberg nel 2019.

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Il presidente di Federprivacy al TG1 Rai

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