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Il nuovo Registro delle opposizioni non basta a fermare il telemarketing selvaggio

Il telemarketing selvaggio non si ferma. Questo, innanzi tutto, perché condotte illecite ed elusive come “phone number spoofing” e “call me back” continuano senza sosta e sono squarci nella rete di protezione. La legge n. 5/2018, poi, divenuta operativa dalla fine di luglio 2022, è piena di disposizioni ambigue, con molte incognite privacy su aspetti importantissimi, potenzialmente strumentalizzabile da operatori aggressivi.

Telemarketing, tutele miraggio

Inoltre, manca ancora una autoregolamentazione da parte degli operatori del settore: il Regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679 (Gdpr), che sollecitava le organizzazioni rappresentative dei diversi settori a scriversi il codice di condotta e farlo approvare dal Garante della privacy, è operativo già dal maggio 2018, ma il codice di condotta per il telemarketing non è ancora giunto al traguardo.

A tutto ciò si aggiunge un dato relativo al Registro pubblico delle opposizioni e cioè il data base in cui chi non vuole essere disturbato da telefonate commerciali può iscrivere i propri recapiti telefonici (fissi e mobili) e postali. La versione revisionata alla luce della legge del 2018 è partita a luglio 2022, e nel nuovo Registro delle opposizioni (Rpo), fino al 13 settembre 2022, si sono iscritti 2 milioni e 600 mila utenti, pari a circa il 4% del totale dei numeri fissi e cellulari.Peraltro, per effetto della legge 5/2018, anche i numeri iscritti nel Rpo continuano ad essere molto spesso utilizzabili per chiamate commerciali.

In questo il contesto sta montando la protesta delle organizzazioni dei consumatori.In particolare, l'Unione nazionale dei consumatori ha già presentato un esposto a Antitrust e Garante privacy, sulla scorta di una prima valutazione su base nazionale relativa a un piccolo campione di circa 800 consumatori, che lamentano di ricevere chiamate moleste nonostante l'iscrizione al nuovo Rpo. Le telefonate moleste, secondo quanto denunciato dall'Unione Consumatori, riguardano per il 30% il settore della telefonia, per il 29,5% il settore dell'energia e per il 25% il trading e i prodotti finanziari.

Il problema, da un lato, sta nelle precarietà della legge 5/2018 e, dall'altro lato, è aggravato dalle condotte illecite che imperversano. Quanto alla legge 5/2018, è una legge che presenta molte eccezioni alla regola della tutela di chi non vuole più telefonate commerciali, così tante che la si può considerare accantonata in un angolo.

Il Rpo, in cui trovano posto cellulari e utenze riservate, è il contenitore di tutti i numeri che non si possono chiamare per fare marketing telefonico: il titolare dell'utenza iscrive il numero nel registro (consultare www.registrodelleopposizioni.it per capire come fare, ma è semplicissimo) ed è convinto che nessuno potrai mai più chiamarlo. Ma non è sempre così.

Questo poiché è la legge stessa che non chiude le porte alle possibili derive elusive. La legge 5/2018 è piena di formule ambigue, in grado di assicurare ad operatori, smaliziati e aggressivi, avvezzi a condotte ai margini della legge, di proseguire imperterriti e, così facendo, di marginalizzare e penalizzare chi vuole stare nelle regole.

(Nella foto: Antonio Ciccia Messina. Ha curato la stesura del massimario Risposte Privacy)

Ad esempio, basta abusare e strumentalizzare la regola per cui è lecito chiamare l'utente che ha visitato il sito internet di un commerciante e ha lasciato i suoi recapiti per essere contattato al fine di avere informazioni su un prodotto (“call me back”, distinto in sofisticate articolazioni “call me now”, “call me later” e, magari, integrato con sistemi di messaggistica e chat): scambiare la richiesta di esser chiamato una singola volta con il consenso a ricevere telefonate, cosa che esonera dal consultare il Rpo, se non è dolo è colpa e, in ogni caso, non va bene.

Dall'altro lato, troviamo gli operatori senza scrupoli, senza problemi a tenere comportamenti fraudolenti, che volentieri sguazzano nelle debolezze e nelle lacune della legislazione vigente. Ci si riferisce alla pratica, non arginata con divieti specifici e nei fatti non contrastata, nota come “caller ID spoofing” oppure “phone number spoofing”: si usano tecnologie che consentono di far apparire sul display dell'apparecchio ricevente un numero camuffato e inventato di sana pianta, che non esiste, e, quindi, non può essere richiamato e di fatto non rintracciabile. Chi chiama con questi sistemi, in sostanza, fa quello che vuole, con la tracotanza della certa impunità derivante dal fatto che il numero, una volta usato per chiamare, scompare per sempre e con lui la possibilità di identificare l'autore della chiamata.

Non stupiscono, pertanto, i numeri diffusi dall'Unione Consumatori, che ha raccolto le segnalazioni di chi, nonostante l'iscrizione al nuovo Registro delle opposizioni, afferma di continuare a ricevere chiamate dai call center. L'Unione Nazionale Consumatori ha raccolto un dossier con tutte le proteste ricevute in questi giorni e lo ha inviato all'Antitrust e al Garante della privacy. Dal dossier dell'Unione Consumatori risulta che le persone si lamentano, soprattutto, di telefonate ricevute da parte di soggetti che si presentano come compagnie telefoniche, società di luce e gas e società che fanno trading on line. La denuncia è sui tavoli delle autorità, ma, allo stato, contro alcune degenerazioni mancano propri gli strumenti normativi. (Vedi anche "Telefonia & marketing: in dieci anni sono cresciuti del 250% i reclami al Garante della Privacy")

di Antonio Ciccia Messina (Italia Oggi Sette del 19 settembre 2022)

Note sull'Autore

Antonio Ciccia Messina Antonio Ciccia Messina

Professore a contratto di "Tutela della privacy e trattamento dei dati Digitali” presso l'Università della Valle d’Aosta. Avvocato, autore di Italia Oggi e collaboratore giornali e riviste giuridiche e appassionato di calcio e della bellezza delle parole.

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