Fino a che punto i ragazzi possono gestire la propria privacy?
Fino a che punto i ragazzi possono gestire la propria privacy? Devono rinunciare alla propria riservatezza rimettendosi del tutto alle decisioni dei propri genitori?
La Convenzione di New York vieta che i fanciulli siano oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella propria vita privata e riconosce loro la capacità di formarsi una propria opinione e di esprimerla (art. 16).
La Carta dei diritti fondamentali UE sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni e della protezione dei dati personali. Si ritiene infine unanimemente che la nostra Costituzione riconosca il diritto alla riservatezza tra i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, riconoscendo, inoltre, pari dignità sociale a tutti i cittadini.
L’ordinamento giuridico italiano riconosce la piena capacità di agire al compimento del diciottesimo anno. Nella c.d. minore età, seppur gradatamente, solitamente si individuano due fasi: l’una, costruttiva; l’altra, conservativa. Il minore, dapprima, si interessa al fine di costruire la propria identità, per poi successivamente interessarsi a ciò che si avvicina al proprio essere. Nel corso della fase costruttiva, la stessa Convenzione di New York riconosce il diritto dei genitori di dare al minore, “in maniera corrispondente allo sviluppo delle sue capacità, l’orientamento e i consigli adeguati all’esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti”. In riferimento alla normativa interna tutti noi conosciamo, e forse sapremmo ricordare a memoria, quanto dettato dall’articolo 147 del codice civile: “L'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni”. Ovvero, cogliendo l’essere del proprio figlio, edificarne la personalità.
Nell’epoca predigitale la fase costruttiva della personalità era prerogativa esclusiva dei genitori: oggi non è più così. La c.d. vita “onlife”, anche dei minori, impone che il percorso costruttivo della personalità possa avvenire anche al di fuori delle possibilità di controllo dei genitori.
Impedire ciò significherebbe imporre una sorta di “astinenza cibernetica”, la quale, soprattutto se attuata nei confronti di un “grande minore” (ovvero un minore capace di discernimento, in relazione allo specifico contesto in cui è osservato) sarebbe assolutamente illegittima, atteso che l’accesso al web è un diritto fondamentale e, specialmente per gli adolescenti, una forma di sopravvivenza sociale, estrinsecazione, a sua volta, della libertà di espressione e di informazione (si confronti, la strategia BIK+ della Commissione dell’Unione Europea: “un internet migliore per i ragazzi”). Sul punto è chiara la Dichiarazione dei diritti in Internet ove si afferma che “l’accesso a Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale”.
Il minore, dunque, non va protetto dalla rete bensì protetto nella rete. La responsabilità genitoriale, quindi, si manifesta anche tramite il diritto/dovere di sorveglianza.
Come garantire la vigilanza dei genitori e quindi far salva l’esclusività del loro ruolo educativo, costituzionalmente garantito, e nel contempo tutelare il principio dell’Internet accessibile come sopra esplicitato?
La risposta ordinamentale, sia essa legislativa che giurisprudenziale, va ricercata nella piena osservanza del principio di ingerenza minima. La tutela del minore può senz’altro giustificare il sacrificio della libertà di espressione e informazione, anche per mezzo di idonei strumenti di garanzia come per esempio il parental control, ma sempre nel rispetto dei principi dell’effettività e della proporzionalità. Soprattutto per i grandi minori, non si può ritenere che la misura appropriata sia consegnare l’accesso alla rete del figlio al controllo dei genitori. Insomma, se nell’età in cui manca il discernimento si giustifica la massima estensione della vigilanza parentale, nell’età del discernimento e man mano che questo si manifesta e consolida, il perimetro della vigilanza parentale va diversamente definito in base alla maturità del figlio che può, a sua volta, differenziarsi in ragione del contesto.
Ecco perché, la Corte di Cassazione – così come alcuni Tribunali di merito – pur consacrando il diritto/dovere dei genitori di sorveglianza e/o vigilanza nei confronti dei figli, ha più volte ribadito che “il diritto/dovere di vigilanza sulle comunicazioni del minore, che giustifica l'intrusione nella sfera di riservatezza del fanciullo solo se determinata da una effettiva necessità [debba essere] esercitato in maniera funzionale al perseguimento delle finalità per cui il potere è conferito” (in ultimo, Cass. penale 19 gennaio 2024 n. 7470).
(Nella foto: l'Avv. Domenico Battaglia)
In pratica, per il minore, la libera ed incontrollata fruibilità dello spazio cibernetico è una libertà che va bilanciata con il dovere di protezione dello stesso quale soggetto debole; e più il minore diviene capace di discernere, più si espande la libertà espressiva e comunicativa dello stesso e contestualmente si restringono le interferenze dei genitori.
Sul punto, è bene ricordarlo, nell'ambito dei servizi della società dell'informazione (ovvero resi a distanza, per via elettronica, attraverso strumenti informatici), l’art. 2 quinquies D.Lgs. n. 196/2003 prevede che l’età per esprimere il consenso al trattamento dei dati personali del minore sia fissata in 14 anni; seppure questo non sia un limite temporale predeterminato, certamente può essere un parametro di riferimento per determinare la capacità di discernimento dei minori.
In conclusione, quindi, i genitori devono rispettare la privacy dei loro figli minori?
Se sei un minore, forse risponderai: sono consapevole che ho diritto ad uno spazio di autonomia mio proprio e che diverrà man mano sempre più scevro da interferenze, il tutto proporzionalmente alla mia capacità di discernimento. Devo adoperarmi per accrescere la mia conoscenza del mondo informatico, soprattutto in relazione ai pericoli in esso insiti. Più ne sarò consapevole, più mi guadagnerò ambito di decisione.
Se sei un genitore, probabilmente risponderai: i miei figli sono [anche] cittadini e persone, e devono ritagliarsi con il tempo il proprio spazio per estrinsecare la propria personalità. Sta a me sorvegliare e vigilare su di loro, esercitando non una desueta “potestà” bensì una più flessibile e moderna “responsabilità genitoriale”, investendo in un processo educativo costituito da libertà che si manifesteranno sempre più autonomamente man mano che mio figlio avrà costruito la propria personalità.
Ecco perché è urgente investire nell’alfabetizzazione mediatica, sia per i minori che per i genitori. I primi per riconoscere i pericoli, i secondi per poter sostenere, consigliare e guidare i minori. Diamoci dentro perché c’è un gran lavoro da compiere!