Faceapp: bye bye privacy per un pugno di risate
Si chiama Faceapp e sta spopolando in tutto il mondo. È un’app che si scarica gratis dall’Apple store e dal Playstore, si installa sui nostri smartphone e promette di regalarci qualche risata con gli amici modificando il nostro viso con una serie di filtri più o meno intelligenti tra i quali uno, particolarmente gettonato, capace di disvelarci come invecchieremo.
L’app è prodotta da una società russa con sede a San Pietroburgo, la Wireless Lab OOO e il suo papà si chiama Yaroslav Goncharov, nato, cresciuto e laureato a San Pietroburgo, una breve esperienza negli USA, in Microsoft, e poi il rientro nella grande madre Russia.
Oltre ottanta milioni di utenti già usano l’app che è stata spesso in testa alle classifiche, anche in Europa, per numero di download.
Onore alla genialità di Goncharov, naturalmente.
Ma mentre la Faceapp-mania impazza e si moltiplicano anche sulle pagine social nostrane immagini prodotte attraverso l’app non ci si può non fermare un istante a riflettere sul fatto che usare l’app per regalarsi e regalare ai nostri amici vicini e lontani qualche sorriso significa – o potrebbe significare – rinunciare, magari per sempre, alla propria privacy o, almeno, al controllo su alcuni dei dati personali più preziosi che abbiamo ovvero quelli contenuti nell’immagine del nostro volto.
Il presupposto minimo di funzionamento dell’app è, infatti, che si carichi una fotografia del volto da modificare sui server della società e la si lasci modificare attraverso il filtro che si è scelto di utilizzare.
Difficile, tuttavia - anche ammesso che ci si fermi a leggere i termini d’uso dell’app e la privacy policy - dire con certezza chi, un istante dopo, potrà fare cosa con quella foto e con i dati che essa contiene.
Le finalità per le quali la Wireless Lab dichiara di utilizzare i nostri dati già non sono poche e, soprattutto, sono individuate in maniera decisamente generica: fornirci contenuti personalizzati e fornirli a altri non meglio precisati, migliorare e monitorare il funzionamento dell’app, sviluppare e testare nuovi prodotti e nuove funzionalità.
L’impressione, a leggere tra le righe, è che nella migliore dell’ipotesi il nostro volto e i dati che esso contiene sono destinati a divenire topi da laboratorio per addestrare le reti neurali e i sistemi di intelligenza artificiale sui quali la società produttrice di FaceApp sta lavorando.
Ma non è detto che finisca qui.
Perché non è meglio definito il perimetro e le finalità per le quali FaceApp, sempre senza chiederci nessun consenso, si riserva il diritto di condividere con altre società del suo Gruppo presenti e future e con una serie di soggetti genericamente definiti come “Affiliati” i nostri dati.
L’impressione è che una volta caricata la nostra foto sui server di FaceApp, noi si possa salutarla per sempre rinunciando, più o meno, a ogni forma di controllo sul nostro volto e sul carico di preziosissimi dati personali anche biometrici che essa contiene.
E, d’altra parte, questo sospetto sembra confermato dai termini d’uso del servizio che, in maniera decisamente più chiara, stabiliscono che: “[Utilizzando l’app] Concedi a FaceApp una licenza perpetua, irrevocabile, non esclusiva, esente da diritti, a livello mondiale, trasferibile per utilizzare, riprodurre, modificare, adattare, pubblicare, tradurre, creare opere derivate da, distribuire, eseguire pubblicamente e mostrare sul contenuto dell’utente [ndr la nostra immagine] e qualsiasi nome, nome utente o immagine forniti in relazione al contenuto dell'utente in tutti i formati e canali multimediali ora conosciuti o successivamente sviluppati, senza alcun compenso. Quando pubblichi o condividi in altro modo il Contenuto dell’utente su o attraverso i nostri Servizi, accetti che il tuo Contenuto utente e qualsiasi informazione associata (come nome utente, posizione o foto del profilo) saranno visibili al pubblico.”.
Se l’informativa è poco chiara, i termini d’uso del servizio risolvono parecchi dubbi.
La foto del nostro volto diventa, nella sostanza, di FaceApp che può farne quello che vuole perché la licenza – salvo non volersi avventurare in interminabili battaglie giudiziarie sulla validità delle relative clausole – è perpetua, irrevocabile, mondiale, cedibile e, naturalmente gratuita.
Ma non basta.
Perché, naturalmente, benché i termini d’uso del servizio lo vietino, centinaia di migliaia di utenti utilizzano FaceApp non solo per farsi fare un ritratto di come saranno domani ma per giocare con l’immagine di amici, parenti e personaggi più o meno noti con la conseguenza che sui server della società affluiscono addirittura centinaia di migliaia di immagini di persone ancora più ignare del futuro che le attende di quanto, probabilmente, non lo sono i già poco consapevoli utenti che caricano le proprie immagini.
FaceApp sarà anche divertente ma è anche – o almeno potrebbe esserlo – un pericolosissimo strumento di espropriazione della nostra privacy, un “giochino” che ricorda drammaticamente quello all’origine della vicenda di Cambridge Analytica giacché anche in quel caso fu un’app, dall’apparenza inoffensiva, a consentire l’accumulo di una quantità industriale di dati personali di milioni di utenti.
La storia, insomma, sembra incapace di insegnarci a stare più attenti e a riconoscere ai nostri dati personali il valore che meritano e questo – quello della cultura che non c’è di quel valore – è, probabilmente, il primo dei problemi da affrontare se si vuole garantire per davvero, negli anni che verranno, il diritto alla privacy.
Senza non c’è partita, non c’è sanzione, non c’è Autorità che possa fare la differenza.
Se la voglia di farci due risate è – e resterà – più forte della capacità di fermarsi un istante a riflettere sul prezzo di quelle due risate, allora l’umanità è condannata a un futuro senza privacy o, almeno, a un inseguimento infinito di dati che quando finalmente ne avremo compreso il valore saranno lontani e inafferrabili.
Fonte: L'Espresso - Articolo di Guido Scorza
(L'intervento di Guido Scorza all'8° Privacy Day Forum)