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Paolo Romani

Consulente Privacy e Sicurezza IT presso Delmiele Digital Agency, Delegato Federprivacy nella provincia di Lodi. Professionista certificato Privacy Officer e Consulente della Privacy (CDP) con TÜV Italia.

Non è un pensiero assurdo che che i nostri dispositivi elettronici ci ascoltino: in effetti, esistono dei sistemi attivi di ascolto continuo nei nostri smartphone e altri device. Ovviamente, sono progettati ufficialmente solo per captare il nostro comando vocale e attivarsi quando necessario, ma ci si chiede se e come raccolgano anche informazioni aggiuntive.

Un vademecum che può servire come punto di partenza per le organizzazioni e gli individui che desiderano impegnarsi nell'uso responsabile e etico dell'intelligenza artificiale, garantendo che la tecnologia operi a beneficio di tutti senza compromettere i diritti fondamentali o la sicurezza.

L'aggiornamento legislativo statunitense rappresentato dalla proroga della Sezione 702 del Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA) merita un'analisi approfondita, specialmente alla luce delle sue ramificazioni per la privacy dei cittadini europei protetti dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR).

La profilazione può portare a una personalizzazione estrema delle notizie, dove l'utente viene esposto principalmente a punti di vista che rafforzano le proprie convinzioni preesistenti. Questo fenomeno, come un "effetto bolla" può avere ripercussioni sul dibattito pubblico e sulla coesione sociale, limitando la capacità degli individui di comprendere prospettive diverse dalle proprie.

L'approvazione preliminare dell'Artificial Intelligence Act (AI Act) in Europa segna un passo significativo nella regolamentazione dell'intelligenza artificiale, con l'obiettivo di garantire che l'uso dell'IA sia sicuro, rispetti i diritti fondamentali e la democrazia. Tuttavia, questa normativa solleva preoccupazioni in termini di privacy e sicurezza informatica per le aziende.

In un’era in cui la nostra vita è sempre più digitalizzata, la necessità di proteggere le informazioni è diventata cruciale. Non è un caso che le parole “cybersecurity” e “protezione dei dati” siano sempre più presenti nel discorso pubblico. Tuttavia, questi termini non dovrebbero essere considerati separatamente, ma come due facce della stessa medaglia.

La normativa sui cookie che molti conoscono, anche solo per sentito dire, forse fin quasi alla nausea, descrive in quali termini il legislatore abbia voluto delineare nella sostanza il metodo di identificazione di un utente, come al considerando 30 del Regolamento UE 679/2016 (GDPR):

Gira la voce tra alcuni reparti IT che le aziende che usano i servizi in cloud di Google, come la posta elettronica, gli applicativi office o il drive virtuale, siano completamente a norma: vero oppure falso? In effetti il CEO di Google ha rilasciato dichiarazioni che, da una superficiale lettura, danno adito a tutta una serie di implementazioni da parte di Google, con lo scopo di voler alzare l’asticella sulla protezione dei dati personali legandola ad alcuni strumenti messi a disposizione delle aziende clienti, il tutto proprio in funzione del decaduto Privacy Shield.

Navigando in rete è ormai diventata la normalità trovarsi, all’interno della schermata, un riquadro più o meno evidente, con colori e pulsanti, posto ad avvisarci dell’uso degli ormai famosi cookie. Sono molte le aziende che si affidano a servizi di terzi per mostrare questi messaggi. Ma sono realmente corretti? Oppure ci sono nuove insidie?  Senza gridare allo scandalo, sono emerse delle novità importanti per gli utenti dei siti.

Il presidente di Federprivacy al TG1 Rai

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