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La registrazione di un video all’interno di una stazione di polizia e la successiva diffusione del filmato su Youtube rientrano nella disciplina Ue in materia di trattamento dei dati personali. Spetta, però, al giudice nazionale verificare se la registrazione e la diffusione abbia come unico scopo quello di divulgare al pubblico informazioni, opinioni o idee perché, in presenza di un’attività giornalistica, la normativa Ue sui dati personali non va applicata. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea nella Sentenza C-345/17, nella quale sono intervenuti ben sette Stati membri, inclusa l’Italia.

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Le linee guida n. 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video, adottate il 29 gennaio 2020 dal Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB), al paragrafo 4, disciplinano la trasmissione di filmati a terzi in generale, prevedendo che la comunicazione individuale di immagini video a terzi, per scopi diversi da quelli per i quali i dati sono stati raccolti, è possibile a norma dell'art. 6, par. 4, del GDPR (Reg. UE 2016/679).

La Cassazione, sentenza n. 18006 del 9 luglio 2018, censura la pratica delle interviste televisive con «riprese occulte», vale a dire tenendo la telecamera accesa all'insaputa del soggetto che dunque non sa né di essere registrato né tantomeno che verrà mandato in onda. La Suprema corte ha così respinto il ricorso della Rai contro la decisione del Tribunale di Roma che nel 2014 l'aveva condannata, in solido con un giornalista free lance della trasmissione Report, a risarcire 25mila euro a un notaio filmato nel corso di un'inchiesta sui professionisti coinvolti nelle attività di riciclaggio e scommesse illegali.

La videoripresa di comportamenti non comunicativi è prova atipica nel processo e ad essa non si applica il regime "garantista" delle intercettazioni.La registrazione non captativa dello scambio di messaggi tra le persone inquadrate non contrasta né con l'inviolabilità del domicilio né con le regole autorizzatorie delle intercettazioni. La ripresa di comportamenti non comunicativi costituisce prova atipica nel processo e non necessita dell'autorizzazione del giudice delle indagini.

Il presidente di Federprivacy a Report Rai 3

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