La videoripresa di azioni non comunicative è atto d'indagine legittimo diverso dalle intercettazioni
La videoripresa di comportamenti non comunicativi è prova atipica nel processo e ad essa non si applica il regime "garantista" delle intercettazioni.La registrazione non captativa dello scambio di messaggi tra le persone inquadrate non contrasta né con l'inviolabilità del domicilio né con le regole autorizzatorie delle intercettazioni. La ripresa di comportamenti non comunicativi costituisce prova atipica nel processo e non necessita dell'autorizzazione del giudice delle indagini.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 43609/2021, ha perciò respinto il ricorso che contestava la legittimità della deposizione dell'agente di polizia giudiziaria relativa a delle videoriprese effettuate da edificio adiacente a quello oggetto di indagine.
La Corte sostanzialmente le equipara alla lecita attività di indagine svolta dalla polizia tramite appostamenti. Rientrano cioè nell'autonoma iniziativa degli investigatori, che possono procedervi senza bisogno di essere autorizzati: per cui sottratte alla necessaria autorizzazione da parte del Gip, come previsto per le captazioni delle comunicazioni tra persone nel mirino di un'indagine.
Inoltre, la Cassazione nega la lamentata illegittimità delle videoriprese oggetto del ricorso anche sul piano del rispetto della vita privata e quindi del domicilio su cui ogni individuo ha pieno diritto excludendi verso i terzi. Spiega, infatti, la Cassazione che la videoripresa delle parti esposte al pubblico - anche di quello che possa costituire una privata dimora - non viola il diritto costituzionale posto a tutela del domicilio. Per cui la ripresa del piazzale, delle finestre e delle porte di ingresso di un luogo di lavoro è pienamente legittima anche se si tratta di luogo che garantisce la riservatezza dell'esplicazione di atti della vita privata del titolare.
Nel caso specifico la polizia indagava sull'illecito trattamento e sversamento di rifiuti all'interno di un opificio. La finalità della videoripresa era quella di osservare i movimenti di mezzi e uomini all'esterno dell'opificio. La videocamera era stata piazzata al vertice di un edificio adiacente a quello sotto indagine al fine di superare le barriere poste a escludere la visione dall'esterno. Su tale punto la Cassazione chiarisce che la parte esposta al pubblico - per quanto schermata da barriere architettoniche - non fa assurgere a domicilio i luoghi esterni a un edificio. La necessità di dover posizionare la videocamera sulla sommità di altro edificio - come avvenuto nel caso concreto - non muta la natura dei luoghi come "esposti al pubblico".
Infine, conclude la Cassazione, la videoripresa di comportamenti non comunicativi effettuata dagli investigatori equivale alle riprese delle telecamere posizionate a fini di sicurezza all'esterno di un edificio che hanno registrato i movimenti avvenuti nel suo raggio d'azione e sono acquisibili senza essere state preventivamente autorizzate.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 27 novembre 2021