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Dopo la FaceApp challenge, la nuova sfida estiva che è esplosa sui social si chiama #numberneighbor. È nata negli Stati Uniti, dove negli ultimi giorni moltissime persone si sono messe in contatto con il proprio vicino di numero. Nello specifico, si cambia l’ultima cifra del proprio cellulare sostituendola in un caso con l’unità superiore e nell’altro con quella inferiore. Una volta aggiunto il nuovo contatto telefonico si passa alla fase successiva, scrivendo all’ignaro utente tramite WhatsApp: le conseguenze sono del tutto inaspettate.

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Il governo albanese ha confermato una fuga massiva di dati personali e salariali riguardanti 637.138 cittadini, ovvero oltre il 22% dell'intera popolazione del paese. Le informazioni sono contenute in un file Excel che ha iniziato a circolare in questi giorni tramite WhatsApp, e in cui sono riportati vari dettagli come nominativi dei lavoratori, luoghi e date di nascita, numeri di carta d'identità, numero di identificazione personale, numero di telefono, importi degli stipendi, posizioni lavorative e nomi dei datori di lavoro, e a quanto pare anche l’orientamento di voto per il partito socialista.

Se ricevete una chiamata con il prefisso +351, occorre essere cauti: potrebbe trattarsi di una truffa molto diffusa in questo periodo. Le telefonate, apparentemente provenienti dal Portogallo, spesso includono un messaggio registrato che invita a salvare il numero e a contattare tramite WhatsApp o Telegram. Questo schema di phishing telefonico mira a rubare dati sensibili degli utenti.

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Sarà probabilmente capitato almeno una volta anche a voi di essere aggiunti a un gruppo di WhatsApp senza che nessuno ve ne chieda il permesso, e non sempre l’amministratore che vi include vi fa una gradita sorpresa. D’altra parte l’app di messaggistica di Facebook neanche vi facilita nell’evitare tali ingerenze nella vostra sfera privata che talvolta possono risultare pure fastidiose, perché per impostazione predefinita chiunque possieda il vostro numero di telefono può aggiungervi in un gruppo da questo amministrato. Ma in certi casi chi vi inserisce nel proprio gruppo senza chiedervi il consenso può essere sanzionato per violazione della privacy.

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Come da prassi prevista dalle norme antiriciclaggio avevano chiesto al cliente le motivazioni riguardo la finalità del cospicuo prelievo di 85.000 euro che egli aveva richiesto di effettuare, e a seguito della risposta ironica che avevano ricevuto non riuscivano a trattenersi dal condividere la mail con altri colleghi su WhatsApp, che a loro volta condividevano con altri ancora, a tal punto che la comunicazione è arrivata infine su Facebook diventando virale. Se i bancari trovavano divertente il messaggio che circolava da un social ad un altro, non rideva però l’autorità per la privacy, che dopo aver accertato i fatti irrogava alla banca una sanzione da 100mila euro.

La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, nella parte in cui era diretto a contestare la legittimità dell'acquisizione di corrispondenza del sen. Renzi in violazione dell'art. 68, terzo comma, Cost.

Preoccupa il fenomeno che si sta verificando in Abruzzo su dettagliate liste di nomi, cognomi, date di nascita e indirizzo di residenza di persone perlopiù di etnia rom contagiate dal Coronavirus che sono state diffuse e che continuano a circolare su gruppi WhatsApp ed altre chat su internet.

Il messaggio con il quale Whatsapp ha avvertito i propri utenti degli aggiornamenti che verranno apportati, dall’8 febbraio, nei termini di servizio - in particolare riguardo alla condivisione dei dati con altre società del gruppo - e la stessa informativa sul trattamento che verrà fatto dei loro dati personali, sono poco chiari e intelligibili e devono essere valutati attentamente alla luce della disciplina in materia di privacy. A renderlo noto con un comunicato stampa è la stessa Autorità per la protezione dei dati personali.

Giusta la sanzione disciplinare al militare che condivide con un collega una serie di messaggi di whatsapp con i quali critica e parla male di altri ufficiali. Lo stabilisce il Tar Sardegna con la sentenza del 14 marzo scorso n. 174.

Alla maggioranza di noi sarà capitato di chiamare il medico di famiglia sentendosi dire, magari dalla segretaria, di inviare una foto del nostro referto tramite WhatsApp oppure di mandarlo tramite email ad un comune indirizzo di posta elettronica privato, come ad esempio quelli forniti gratuitamente con il servizio Gmail di Google. Questa è ormai l’esperienza comune, soprattutto dopo la pandemia da Covid-19. Per non parlare, poi, dei gestionali attraverso i quali i medici di famiglia organizzano il proprio studio medico, gestionali nei quali vengono caricati una valanga di dati particolari dei singoli pazienti.

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Il presidente di Federprivacy al TG1 Rai

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