L’archiviazione giornalistica prevale sul diritto all’oblio: la carta baluardo della 'memoria collettiva'
La Corte di Cassazione ha di recente affrontato un tema particolarmente spinoso, declinando i principi utili per bilanciare il diritto all’oblio con quello alla cronaca. La decisione nasce da una vicenda piuttosto comune: un soggetto che aveva patteggiato una condanna ad otto mesi per truffa in pubbliche forniture (dispositivi medicali) adiva l’Autorità Giudiziaria citando in giudizio la testata giornalista online sulla base della persistenza in rete della notizia di cronaca relativa.
Il Tribunale riscontrava che la finalità di cronaca giornalistica si fosse esaurita con la sentenza di patteggiamento, mancando altresì qualunque altro nuovo elemento che potesse attribuire attualità alla notizia, e condannava l’editore del quotidiano on line alla cancellazione della notizia. Questi adiva la Suprema Corte che ripercorreva dapprima la storia giudiziaria dell’emersione del diritto alla riservatezza, dal secco rifiuto esternato negli anni ‘50, alle aperture costituzionali sino alla tutela degli ultimi decenni.
Riprendeva, poi, anche le fila del c.d. diritto all’oblio che, nato come right to be forgotten man mano si trasformava “nel diritto di escludere l’ingerenza di una estranea conoscibilità e pubblicità della sfera dell’intimità propria della persona”, diventando poi tutela “delle modalità e delle tecniche di acquisizione della notizia”. Caratterizzato dal “fattore tempo diacronicamente letto”, esso così si distingue dal diritto alla riservatezza:
“Non è volto a precludere la divulgazione di notizie e fatti appartenenti alla sfera intima della persona e tenuti fino ad allora riservati, ma ad impedire che fatti, già legittimamente pubblicati, e quindi sottratti al riserbo, possano essere rievocati nella rilevanza del tempo trascorso […] il fatto, completamente acquisito dalla collettività, dopo aver perduto la connotazione pubblica, nell’intervenuto decorso del tempo, con il trascolorare dell’interesse alla sua conoscenza diventa privato e, là dove riproposto, apre lo spazio al riconoscimento del diritto all’oblio”.
Ciò considerato, la Corte (Cass. Civ. 19 maggio 2020 n. 9147) perviene a due conclusioni.
In primo luogo essa riconosce agli archivi giornalistici copertura costituzionale e quindi conclude per l’intangibilità degli stessi, fatto salvo il discrimine della veridicità del fatto. La Corte, invero, afferma che la finalità di archiviazione documentaristica è finalità compatibile con la prima finalità di trattamento del dato (cronaca) ed, inoltre, che tale finalità può essere intesa come “declinazione del diritto di informazione”. A nulla vale, poi, eccepire il carattere digitale della testata giornalistica: imporre l’eliminazione della notizia dall’archivio digitale equivarrebbe a “strappare una pagina di un vecchio numero di un giornale custodito nell’archivio cartaceo”.
Come secondo approdo, nell’accogliere in parte il ricorso, la Cassazione richiede che il Giudice del rinvio esamini, nel caso di specie, se il tempo trascorso dalla condanna possa essere considerato sufficiente a far maturare il diritto all’oblio ed ancora, nell’ottica di un bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco, se per la notizia vi fossero ancora persistenti e perduranti diritti di cronaca giudiziaria ovvero di archiviazione.
Solo dopo tale propedeutiche ed imprescindibili valutazioni, il Giudice del rinvio dovrà valutare l’applicazione della misura della deindicizzazione (e non la cancellazione!) della notizia come misura di protezione del diritto all’oblio.