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In Ruanda il diritto alla privacy convive con la sorveglianza di massa

Anche se in Ruanda il diritto alla privacy è sancito sia dalla costituzione che dalla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), di cui lo stesso Ruanda è firmatario, lo Stato giustifica il rigido controllo sulla libertà dei media, la repressione del dissenso e l'ostilità nei confronti dell'opposizione come questioni di unità e sicurezza nazionali. E negli ultimi anni lo Stato ha esteso la portata della sorveglianza di massa in vari modi. 

Ad esempio, nella capitale Kigali è di recente attivazione una rete di telecamere a circuito chiuso in tutti i quartieri della città, e negli ultimi tempi il governo ha adottato una nuova politica per la sicurezza che comporta un uso massivo di tecnologie di sorveglianza che teoricamente dovrebbe produrre notevoli benefici alla collettività.

Tuttavia, nel 2019 un'inchiesta condotta dal Financial Times aveva fatto più luce sulla tendenza dello Stato a monitorare da vicino l'uso dei social media da parte dei cittadini. Il report aveva rivelato il possibile uso ad opera dello Stato di uno spyware Pegasus creato da un'azienda tecnologica israeliana. Attraverso lo spyware Pegasus, le agenzie di sicurezza possono raccogliere i dati dagli smartphone dei cittadini (inclusi telefonate, contatti, password e tutti i dati trasmessi tramite applicazioni quali WhatsApp o Skype) senza lasciare traccia.

Nonostante i diritti alla privacy di cui dovrebbero godere i cittadini ruandesi, la Legge nº60/2013, che regola l'intercettazione delle comunicazioni, autorizza l'accusa a emettere un “mandato verbale” alla sicurezza nazionale e al servizio di intelligence per sorvegliare, intercettare e decriptare qualsiasi informazioni generata, trasmessa, ricevuta o archiviata su qualsiasi risorsa informatica per ragioni di sicurezza nazionale.

Inoltre, l'assenza di una legislazione specifica sulla protezione dei dati personali ha fornito ai servizi di sicurezza ruandesi un margine discrezionale per raccogliere dati senza alcun paletto normativo, e di fatto in Ruanda il diritto alla privacy convive paradossalmente con la sorveglianza di massa.

Note Autore

Nicola Bernardi Nicola Bernardi

Presidente di Federprivacy. Consulente del Lavoro. Consulente in materia di protezione dati personali e Privacy Officer certificato TÜV Italia, Of Counsel Ict Legal Consulting, Lead Auditor ISO/IEC 27001:2013 per i Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni. Twitter: @Nicola_Bernardi

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Il presidente di Federprivacy a Report Rai 3

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