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Tribunale di Milano: Google non responsabile per commenti utenti

Punto a favore di Google nella battaglia per la neutralità degli Internet Service Provider rispetto ai contenuti veicolati. Il Tribunale di Milano, ordinanza 36957/2018, in sede cautelare, ha infatti respinto il ricorso presentato da un'agenzia pubblicitaria che pretendeva la rimozione di alcuni commenti ospitati su un forum di Google in cui veniva accusata di condotte scorrette nei confronti degli utenti. Nel rigettare il ricorso, il Tribunale ha chiarito che Google «non è direttamente responsabile delle informazioni inserite nei forum e negli spazi da essa messi a disposizione degli utenti».

Dunque, prosegue il giudice unico della Prima Sezione civile, Laura Massari, «non può essere destinataria di alcun ordine di cancellazione e/o rimozione». Né tantomeno, prosegue, può essere riconosciuta «come titolare di un obbligo in tal senso a seguito della segnalazione da parte della diretta interessata, risultando affatto indimostrata la illiceità dei contenuti immessi dall'utente».

Riguardo poi alla ulteriore domanda della ricorrente volta ad impedire “l'apertura di ulteriori thread simili”, per il Tribunale «è sufficiente ricordare che la disciplina del Dlgs n. 70/2003, attuativo della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico, non contempla un obbligo preventivo di sorveglianza da parte del prestatore di servizi, qualunque sia la natura della sua attività (mere conduit, caching od hosting)».

In questo senso, prosegue, è «chiara la previsione dell'art.17 Dlgs n. 70/2003». Secondo il decreto infatti: “Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite”. Del resto, «un obbligo generale di preventivo controllo dei contenuti messi in rete dagli utenti» non è neppure ricavabile «dalla disciplina della responsabilità civile ordinaria né dai considerando della direttiva 2000/31/CE né tanto meno dalle regole di comportamento della Community di AdWords».

Accolta invece la domanda riconvenzionale di Google contro la Srl per «indebito utilizzo del proprio marchio». La mera iscrizione al programma “Google Partners”, senza uno specifico via libera da parte dell'azienda, infatti, «non autorizza in alcun modo l'uso dei marchi di Google, incluso il badge Google Partners, il cui impiego è riservato a categorie di inserzionisti molto particolari, definite sulla base di criteri quantitativi e qualitativi». Come del resto già accertato dalla Agcm che ha qualificato il comportamento della srl «pratica commerciale scorretta».

Oltre che sotto il profilo del fumus boni iuris, per il Tribunale, la domanda di Google è assistita anche dal requisito del periculum in mora. Infatti, «l'uso indebito già verificatosi e il suo procrastinarsi sono fonte di effettivo pregiudizio», potendo «determinarsi confusione sulla provenienza delle offerte soprattutto sotto il profilo del rischio di associazione, inteso come probabile errore del pubblico circa l'esistenza di rapporti fra le due società».

Non solo, per altro verso, è «concreta la possibilità che il comportamento illecito abbia riflessi negativi sulla stessa affidabilità di Google con conseguente degradazione del valore del marchio». E per queste ragioni ha disposto «l'inibitoria a qualsiasi utilizzazione dei marchi Google e alla diffusione di informazioni in merito alla sua qualifica come Google Partner».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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