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Software di controllo degli smart worker all’esame di privacy

Recentemente una notissima azienda di produzione di software ha presentato uno strumento informatico che consente di individuare un dipendente per nome e vedere il numero di ore che ha trascorso in riunioni da remoto negli ultimi 28 giorni e di conoscere il numero di giorni in cui è stato attivo su determinati programmi, sempre predisposti dalla stessa azienda. I datori di lavoro possono anche vedere il numero di giorni in cui un lavoratore ha inviato e-mail o il numero di volte in cui la videocamera è stata accesa in riunione. Vi sarebbero 73 dati specifici sul comportamento dei lavoratori ai quali i datori di lavoro avrebbero accesso. Non viene notificato ai dipendenti quali comportamenti possano essere monitorati.

Smart working, occorre rispettare la privacy

Lo strumento ha subito suscitato critiche sia dal punto di vista della privacy, sia da quello del controllo a distanza dei lavoratori. L’azienda produttrice si è difesa sostenendo che il prodotto non sarebbe attivo per impostazione predefinita, ma solo quando le aziende lo abilitano.

I datori possono inoltre rendere anonimi i dati o rinunciare a utilizzare i dati riferiti al singolo, se vengono opportunamente modificate le impostazioni. Inoltre i dati sui singoli dipendenti potrebbero servire non a fini di controllo, bensì per diagnosticare problemi tecnici specifici o per identificare lavoratori che hanno difficoltà con determinate applicazioni prodotte dalla stessa casa.

Le norme sul controllo a distanza - Nel 2015 è entrata in vigore la riforma dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori sul controllo a distanza dei lavoratori. La norma originaria era datatissima essendo stata inclusa nella legge 300 del 1970 e mai aggiornata.

In sintesi, le disposizioni del 2015 prevedono la possibilità, previo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, di installare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo remoto indiretto dell’attività dei lavoratori per esigenze organizzative, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale. È inoltre esclusa la necessità del preventivo accordo sindacale o dell’autorizzazione per gli strumenti in dotazione al lavoratore per svolgere la propria attività che pure permetterebbero un controllo a distanza (ad esempio pc, cellulari, tablet, Gps collegati alla rete aziendale) e per i badge.

Infine è consentito al datore di lavoro di utilizzare le informazioni raccolte attraverso detti strumenti e impianti per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro – anche disciplinari – a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal Codice della Privacy.

Controllo a distanza e smart working - In realtà molte aziende in questo momento storico producono software di monitoraggio dei lavoratori e il settore è in crescita anche a causa dell’esigenza di controllare i lavoratori da remoto durante la pandemia. I datori di lavoro, cioè, sentono la necessità di verificare che la produttività non diminuisca durante i lunghi periodi di smart working imposti dall’emergenza sanitaria. C’è la possibilità di acquisire schermate dei computer dei lavoratori per verificare per quanto tempo i dipendenti utilizzano determinati programmi. Alcune società hanno addirittura messo a punto programmi che consentono ai controllori di guardare in tempo reale che cosa fanno i lavoratori sugli schermi dei loro computer.

Se anche tali programmi possano essere considerati come strumenti per l’esecuzione della prestazione lavorativa (il che è tutto da verificare), è però certo che consentono un potere di controllo a distanza estremamente pervasivo, con probabile pregiudizio della dignità e riservatezza del lavoratore. È altresì indispensabile che i dati raccolti dagli strumenti in dotazione al lavoratore siano trattati nel rispetto delle norme sulla privacy (così come imposto dallo stesso articolo 4 dello Statuto dei lavoratori) e dopo una corretta informativa al momento dell’assegnazione degli strumenti.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 21 dicembre 2020

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