Smart working, attenzione ai controlli sui lavoratori
L’emergenza coronavirus ha accelerato l’adozione del lavoro agile, ma le aziende e le persone potrebbero non essere pronte a gestirlo correttamente. Per esempio, sul fronte controlli. Il ricorso massiccio al lavoro agile per far fronte all’emergenza coronavirus può rivelarsi una grande opportunità per il mercato del lavoro: le aziende e i lavoratori possono scoprire, infatti, i benefici derivanti da una forma di svolgimento della prestazione di lavoro che mette al centro del rapporto tra le parti la fiducia, come leva per ottenere più produttività ma anche più flessibilità nella gestione del tempo e dello spazio di lavoro.
Tuttavia, il modo necessariamente improvvisato con cui il sistema produttivo si è avvicinato a questo strumento nasconde una forte insidia: le aziende e le persone potrebbero non essere pronte a gestire correttamente lo smart working. Uno dei temi dove questa impreparazione potrebbe emergere in modo più evidente è la gestione dei controlli sul lavoratore.
Ciascun datore di lavoro ha il diritto-dovere di svolgere controlli sul corretto svolgimento della prestazione dei propri dipendenti, senza distinzioni sulle modalità di esecuzione , a patto che siano rispettati i limiti fissati dagli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori.
I controlli vietati - L’articolo 4 ha una particolare rilevanza quando si parla di lavoro agile, perché fissa un principio molto rigoroso: sono vietati l’installazione e l’uso di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare a distanza lo svolgimento dell’attività lavorativa del dipendente, a meno che il ricorso a questi apparecchi non sia prima concordato con un accordo sindacale o sia autorizzato dall’Ispettorato territoriale del lavoro.
La norma, nata nel 1970, è stata interpretata in maniera evolutiva dalla giurisprudenza (ma anche dagli orientamenti del Garante della Privacy), e ha finito per comprendere anche gli strumenti di controllo digitale della prestazione: dai sistemi di rilevazione della posizione sino ai software che monitorano in maniera costante l’uso che viene fatto di internet. Si tratta sempre e comunque di forme di controllo vietate in base ai principi dello Statuto.
I datori di lavoro non potranno usare i software aziendali, le webcam e le altre tecnologie digitali per capire se lo smart worker è collegato al suo computer, se si trova in casa o se invece sta facendo sport, o per verificare quali siti internet sta utilizzando: oltre a essere contrario alla logica del lavoro agile, questo comportamento sarebbe illecito.
Il Jobs Act (Dlgs 151/2015, articolo 23) , ha prescisato che queste restrizioni non si applicano agli «strumenti di lavoro», ma al momento prevale una lettera restrittiva di queste esenzione. La riforma del 2015 ha aggiunto un ulteriore elemento: i dati e le informazioni ottenuti tramite gli strumenti di controllo a distanza sono utilizzabili «ai fini del rapporto di lavoro» solo a condizione che sia stata data al lavoratore «adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196». Significa che , anche se lo strumento di controllo a distanza è lecitamente installato, il datore di lavoro deve preventivamente informare il lavoratore agile sulla possibilità di eseguire controlli sulla sua prestazione.
I controlli ammessi - C’è quindi un divieto assoluto di controllo? Assolutamente no. Se il datore di lavoro ha il fondato sospetto che il dipendente stia commettendo degli illeciti, può svolgere controlli mirati, anche a distanza, a patto che siano proporzionati e non invasivi, e che riguardino beni aziendali (il Pc fornito dal datore, la casella di posta aziendale) rispetto ai quali il dipendente non ha alcuna “aspettativa di segretezza”: aspettativa che deve essere rimossa in anticipo, prima del controllo, chiarendo a tutti che gli strumenti aziendali non possono essere usati per motivi personali perchè potrebbero essere oggetto di indagini aziendali. Nei confronti dello smart worker, va considerato un elemento aggiuntivo: l’accordo individuale di lavoro agile (accordo che, durante l’emergenza coronavirus può anche non essere siglato) può disciplinare le forme di esercizio del potere di controllo, per i periodi nei quali l’attività lavorativa viene svolta fuori dai locali aziendali, definendo anche le condotte che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari. Le parti potrebbero quindi stabilire specifiche forme di controllo, sempre restando dentro i limiti dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 9 marzo 2020