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Non viola la privacy il datore di lavoro che ricorre all’investigatore privato per accertare l’uso improprio dei permessi ex Legge 104/1992

Di recente la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su un caso di licenziamento per giusta causa comminata da una società a un proprio dipendente, il quale aveva contestato la violazione della sua privacy attraverso il ricorso ad un’agenzia investigativa ingaggiata dal datore di lavoro per accertare se i permessi concessi ai sensi della Legge n. 104/1992 venissero effettivamente utilizzati per assistere familiari con disabilità.

I controlli avevano rivelato che il lavoratore, nelle giornate in cui aveva usufruito del beneficio, impiegava parte del tempo per attività personali e ricreative, in particolare per uscite in bicicletta, anziché per prestare assistenza al familiare disabile. Sulla base di queste evidenze, la società aveva proceduto al licenziamento disciplinare.

Il licenziamento era stato impugnato dal lavoratore, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Brescia ne avevano confermato la legittimità. I giudici avevano ritenuto che l’uso dei permessi per attività estranee all’assistenza violasse il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

La Corte d’Appello aveva inoltre evidenziato la sistematicità dell’abuso, sottolineando come il comportamento reiterato del dipendente fosse in contrasto con le finalità della Legge n. 104/1992, giustificando la sanzione espulsiva irrogata.

Il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione contestando la legittimità dell’attività investigativa condotta dal datore di lavoro, ritenendola una violazione della privacy e, quindi, inammissibile come prova. Inoltre, il dipendente aveva sostenuto che i permessi ex L. 104/1992 non richiedono una presenza continuativa accanto al familiare assistito, purché l'assistenza sia comunque garantita, e per tali motivi aveva chiesto l’annullamento del licenziamento.

Dopo aver esaminato il ricorso, la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con ordinanza n. 2157 del 30 gennaio 2025, ha ritenuto infondate le argomentazioni del lavoratore e ha confermato la decisione della Corte d’Appello, rigettando l’impugnazione.

Per quanto riguarda la questione relativa alla privacy, la Corte ha evidenziato che l’attività investigativa non aveva riguardato l’adempimento delle mansioni lavorative, ma esclusivamente l’utilizzo dei permessi retribuiti.

In tal senso, il controllo da parte dell’agenzia investigativa risultava conforme alla giurisprudenza consolidata, che ammette verifiche di questo tipo quando finalizzate ad accertare comportamenti illeciti del lavoratore, come l’abuso di benefici assistenziali.

Per quanto riguarda gli ulteriori motivi di ricorso, la Cassazione ha ribadito che il diritto ai permessi ex L. 104/1992 deve essere strettamente collegato alla finalità assistenziale per cui è riconosciuto.

Nel caso di specie, la condotta del lavoratore è stata ritenuta contraria ai principi di correttezza e buona fede, dal momento che l’assenza dal lavoro era stata sistematicamente utilizzata per scopi personali, e non per l’assistenza al familiare disabile.

(Download sentenza riservato agli associati)

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